L‘ha corteggiata e rincorsa per due anni e alla fine ce l’ha fatta: il direttore artistico della Festa del Cinema, Antonio Monda, è riuscito nella difficile impresa di portare la due volte premio Oscar Cate Blanchett a Roma.
In un’affollatissima Sala Sinopoli, l’attrice ripercorre, attraverso la visione di diverse clip, le tappe fondamentali della sua carriera, senza mai risparmiarsi in battute e retroscena. Si inizia con “Il curioso caso di Benjamin Button”, film del 2013 diretto da David Fincher in cui la Blanchett affianca Brad Pitt.
“Sono una grande ammiratrice di tutti gli elementi che si trovano in questo film: lo sceneggiatore, il regista e poi Brad Pitt, così terribilmente orrendo, tanto da non riuscire a provare nessun tipo di sentimento romantico nei suoi confronti. [Ride] Avrei fatto qualunque cosa per fare un film che avesse tutti questi elementi. Quando poi ho letto la sceneggiatura mi hanno particolarmente colpito le sue immagini, specialmente una delle ultime, quando il mio personaggio, Daisy, tiene tra le braccia Benjamin, ormai diventato un infante, e lo guarda morire. È una scena che mi ha commosso profondamente quando l’ho letta. Ogni madre sa cosa vuol dire stringere a sé il proprio figlio desiderando che quel momento non finisca mai.”
La seconda clip che viene mostrata riguarda il film “Carol”, di Todd Haynes, in cui la Blanchett ha una storia d’amore con l’attrice Rooney Mara nella repressiva società degli anni ‘50.
“È strano perché durante le conferenze stampa di questo film le domande che mi venivano rivolte spesso riguardavano la mia sessualità, quando però per altri film non mi avevano mai chiesto, che so, delle mie capacità psichiche o se io fossi immortale. Interpretare un ruolo vuol dire avere una connessione universale con l’esperienza non solo mia ma anche di quella dell’altro. Per questo non penso mai al genere, almeno che questo non chiuda delle porte, penso sempre al personaggio come essere umano. Ci aspettiamo sempre di trovare una profonda affinità nel personaggio che vediamo in scena, mentre per me l’esperienza di creare un personaggio è un’esperienza antropologica, mettermi in un ambito che non conosco, in situazioni che sono state al di là della mia esperienza. Il grande piacere dell’interpretazione, per me, è studiare cosa muove le persone, che cosa le motiva. Questo film per me è stato come un patto d’amore. Ci è voluto molto tempo per riuscire a realizzarlo e questo lo ha reso ancora più importante.”
Attrice eclettica, Cate Blanchett si è soffermata sulle differenze tra cinema e teatro e sulla sua preferenza.
“Quando ho iniziato a lavorare a teatro a Sidney, in Australia, non mi sarei mai aspettata di arrivare al cinema. Ho avuto una grande fortuna, e il piacere di lavorare con i più grandi. Penso sia bellissimo e utile passare dal teatro al cinema, poiché nel teatro c’è la possibilità di avere un rapporto diretto con il pubblico, mentre il cinema mi ha portato a valutare la possibilità espressiva delle inquadrature. Dovessi scegliere obbligatoriamente tra i due, direi il teatro. Il teatro non consente l’errore, è un lavoro di squadra, se vedi qualcosa che non ti piace non ci torni più, al cinema se prendi una sola ci torni lo stesso. Però a teatro il pubblico è molto più coinvolto e questo lo rende affascinante, ogni sera è diversa, poiché ogni sera il pubblico è diverso.”
Si passa poi a parlare del film “The Aviator” di Martin Scorsese in cui l’attrice interpreta Katharine Hepburn accanto a Leonardo DiCaprio nei panni di Howard Hughes, ruolo che le ha portato il primo Oscar, come non protagonista.
“Sono cresciuta divorando i film della Hepburn e il modo in cui ha aperto la strada alle donne per essere davvero ciò che sono è illuminante. Quando il mio agente mi disse che Martin Scorsese voleva chiamarmi da lì a mezz’ora mi sono seduta vicino al telefono e sembrava che avessi il Parkinson per quanto tremavo. Non ricordo assolutamente nulla di quella chiamata. Continuavo a ripetere sì senza realmente capire a cosa stessi dicendo sì. Quando la chiamata finì, il mio agente mi chiese cosa mi aveva proposto, ma io non riuscivo davvero a ricordarlo, tanto ero sotto shock. Quando poi mi comunicarono cosa avevo accettato, allora ebbi davvero paura. Quel ruolo poteva distruggermi o farmi affermare come attrice.”
E poi all’altro premio Oscar ricevuto, come miglior attrice protagonista del film di Woody Allen “Blue Jasmine”.
“Liv Ullman è venuta a Sidney a teatro a fare Un tram chiamato Desiderio, dove io ero Dubois. Io ero convinta che Woody l’avesse visto e che mi avesse chiamato per quello, non vedevo altri motivi per pensare a me. Lui invece mi rispose che né l’aveva visto né ne voleva sentire parlare! Come nel caso di Bob Dylan, è meglio arrivare sul set quando il tuo corpo non si è preparato a quel ruolo, perché al cinema l’eccesso di preparazione non funziona. Anzi, spesso si dice che le prove servono all’attore per ritornare a quella purezza iniziale, per non smarrirla. Quando si sceglie il cast giusto e l’attore è azzeccato per il personaggio in fondo non c’è molto altro da fare, e questo Woody lo sa bene.”
Incalzata dal moderatore Antonio Monda, che le chiede infine di scegliere un aggettivo per tre grandi registi, Cate risponde in maniera fulminante.
“Martin Scorsese? Ilare, e lessicale. Woody Allen? Un enigma! Spielberg? Direi vorace”.
Nel frattempo è quasi giunta l’ora di salutarla, l’ultima clip riguarda il film del cuore di Cate. Si tratta di “Opening night” di John Cassavetes datato 1977.
“Per chi non l’avesse visto vi prego assolutamente di farlo. Parla di un’attrice di Boardway alcolista, che deve interpretare il ruolo di una donna che invecchia e per lei è durissima sopportarlo. Gena Rowlands in questo film è straordinaria, riesce a entrare in quello spazio difficile, insondabile e misterioso tra persona e personaggio: un’attrice straordinaria che si frammenta al cospetto del ruolo che deve interpretare. Mi ha sempre emozionato e ispirato.”