“In arte Nino”: storia di un ragazzo ciociaro che diventò una stella

Elio Germano presta il volto a Manfredi nel film del figlio Luca, che racconta gli anni tra il '39 e il '59

Un film di Luca Manfredi. Con Elio Germano, Miriam Leone, Stefano Fresi, Duccio Camerini, Anna Ferruzzo. Film tv, Biografico. Italia, 2016

 

Chi era Saturnino Manfredi? Immagino di scorgere sconcerto e sguardi vacui nei giovani lettori. Se invece dico Nino Manfredi? Ancora buio totale tra i meno attempati?

Gli appassionati di cinema di più lunga data saranno invece colti molto probabilmente da una botta di nostalgia, perché Manfredi è stato uno degli attori più talentuosi del panorama nostrano, e ancora oggi, a tredici anni dalla sua scomparsa (correva l’anno 2004), ne sentiamo, artisticamente parlando, la mancanza.

Luca Manfredi, figlio dell’attore, ha deciso di portare in tv una parte della vita del padre probabilmente poco nota al grande pubblico, quella che va dal 1939 al 1959, da quando trascorse tre anni in ospedale perché malato di tubercolosi fino a quando la partecipazione a “Canzonissima” gli aprì le porte del successo.

“In arte Nino” è un film che non vuole essere una celebrazione della carriera dell’attore, ma il racconto della vicenda di un ragazzo ciociaro che riuscì ad arrivare, con passione e impegno.

I genitori di Manfredi non erano ricchi. Il padre (Camerini), rigido e burbero maresciallo dei carabinieri, sognava per lui una carriera da avvocato; la madre (Ferruzzo), casalinga assai religiosa, era principalmente preoccupata per la sua salute.

Dopo aver passato tre anni in ospedale, Nino (Germano) si iscrisse a legge come voleva il padre, ma in seguito a un incontro casuale si convinse a fare un provino per entrare alla prestigiosa Accademia d’arte drammatica Silvio d’Amico.

A sorpresa Orazio Costa, direttore dell’Accademia, vede in lui carattere e potenziale e lo accetta nel corso. Il ragazzo si trova così diviso tra esami di giurisprudenza e corso di recitazione.

La prima parte del film è didascalica, lineare, fredda. Elio Germano appare piuttosto impacciato nel ruolo, come se sentisse il peso del personaggio, la sceneggiatura non brilla, la regia è semplice e priva di mordente.

Nel proseguo, invece, il tutto si fa più incisivo e divertente, merito anche di un Germano più sciolto e naturale che porta in scena i difficili inizi della carriera di Manfredi, desideroso di fare teatro di un certo livello ma costretto, per sbarcare il lunario, a fare avanspettacolo all’Ambra Jovinelli o a cantare serenate – proprio durante una di queste incontrerà Erminia (Leone), sua futura moglie.

Lo spettatore ha modo di conoscere l’aspetto più umano del personaggio e in qualche modo di immedesimarsi nel conflittuale rapporto con il padre.

Elio Germano, nel complesso, supera con bravura, passione e dedizione la difficile prova di far rivivere Nino Manfredi, emozionando il pubblico più maturo e incuriosendo quello più giovane.

Degna di menzione l’interpretazione di Duccio Camerini, intenso, credibile e commovente nel finale.

Manfredi fa parte del Pantheon del cinema e della tv italiana, e con questo film ci auguriamo che diventi un volto familiare anche per le nuove generazioni che non hanno avuto la fortuna e il piacere di apprezzarlo prima.