Tanti lettori italiani, fino a qualche mese fa, non avevano mai sentito nominare Paula Fox o i suoi romanzi. Ci ha pensato Fazi editore, con “Quello che rimane” prima, con “Il silenzio di Laura” adesso a colmare il vuoto su quella che è una delle grande voci del Novecento americano, amata da mostri sacri del calibro di Jonathan Franzen e David Foster Wallace.
La trama del libro è intrigante. I coniugi Desmond e Laura Maldonada Clapper, alla vigilia di un viaggio, invitano a cena tre ospiti, che non incontrano da tempo: Clara Hansen, la figlia avuta da Laura dal primo matrimonio, Carlos Maldonada, l’inquieto ed eccentrico fratello di Laura, e il malinconico editor Peter Rice, l’amico di sempre. Quella che dovrebbe essere un’occasione gioiosa si trasforma però velocemente in un’esplosione di risentimento.
La letteratura ce lo ha ampiamente insegnato: nessun ambiente è più a rischio crisi di quello familiare. E se è vero, come recita un celebre incipit di Tolstoj, che le famiglie felici si assomigliano tutte ma ogni famiglia infelice è infelice a modo suo, nei libri sono più i padri e le madri e i figli che hanno qualcosa da recriminare uno con l’altro che quelli che vanno d’amore e d’accordo.
Non fanno eccezione i personaggi di “Il silenzio di Laura” che, in sette atti ben costruiti e ben orchestrati, dalla stanza d’albergo dove alloggiano i Clapper all’elegante ristorante in cui il gruppo si sposta per la cena fino alla conclusione del funerale, scoprono di essere legati l’uno agli altri più da odio e risentimento che da vero affetto.
Su tutti incombe Laura, figura ingombrante e problematica, con il drammatico segreto che nasconde – e a cui si allude già a partire dal titolo. Cosa tace questa donna che parla così tanto, che riempie la stanza con la sua voce, che tiene banco con la sua conversazione fluida ma apparentemente vuota?
Di lei, alla fine, così come di tutti e quattro gli altri protagonisti, colpisce soprattutto la grande fragilità, quel senso di solitudine e incomprensione che la circonda. Perché talvolta costruiamo intorno a noi un muro per paura di venire feriti, ma così facendo nessuno può conoscerci – e capirci – davvero.
Il romanzo della Fox è un’immersione nei legami familiari, nei codici di comportamento che regolano il nostro modo di approcciarci agli altri. È anche, e soprattutto, uno studio dell’essere umano, che si rivolge direttamente a noi, qui, ora, anche a distanza di oltre quarant’anni dalla sua composizione (il libro è uscito negli Stati Uniti in prima edizione nel 1976). E questa capacità di parlare ai contemporanei la dice lunga sull’abilità della sua autrice, e sul suo valore.