di Luca Pollara
Johnny sedeva e fumava al limite della pioggia. Fare il partigiano era tutto qui: sedere, per lo più su terra o pietra, fumare (ad averne), poi vedere un[o] o [più] fascisti, alzarsi senza spazzolarsi il dietro, e muovere a uccidere o essere uccisi, a infliggere o ricevere una tomba mezzostimata, mezzoamata. –pp. 280-281
Intorno a voi c’è il caos, i nemici sono diventati amici e i vecchi amici ora vi sparano, il vostro vicino non sapete se vi denuncerà o se vi passerà un pezzo di pane per sopravvivere.
Avete la fortuna di avere un posto abbastanza sicuro dove nascondervi, ma molti vostri coetanei combattono attorno a voi per la libertà. Cosa fareste?
È con questa scelta che prendono il via le vicende del giovane Johnny – Fenoglio nello straordinario testo “Il partigiano Johnny”.
Il protagonista è nascosto sulle colline e sente lo scontro tra la propria preservazione e l’azione. Lo scontro è umano prima ancora che bellico. Se ogni tempo ha bisogno delle sue parole, anche questo momento (post)storico, incarnato nel perenne presente ,mostra le stesse esigenze, e allora Fenoglio torna a vivere. Ecco perché questo è un romanzo di scelta, di coraggio e di resistenza.
Johnny sceglie di unirsi ai partigiani sulle colline di Alba, lasciando la casa sicura dove poteva stare rintanato, dove poteva leggere e mangiare. I nuovi alleati faticano a giungere nel nord Italia e allora la difesa e la riscossa spettano a loro, ai partigiani, divisi tra fazioni rosse e azzurre.
Johnny non è un eroe, eppure ci si trova ad avvertire in tutta l’opera di Fenoglio un soggiacente eroismo che anima la popolazione delle colline. Ma è un eroismo che non si fa segno distintivo di una fazione contro l’altra, è un eroismo di necessità e di emergenza.
La sofferenza per un senso di intima rottura pervade tutta la lingua e l’immaginario del romanziere, tutti i personaggi e gli eventi; una spezzatura che si ritrova costantemente negli autori di quel periodo.
L’individualismo massificato contemporaneo trova certo uno scoglio nell’intera storia, infatti le azioni vitali di Johnny avvengono quasi sempre insieme agli altri partigiani o con il doloroso e rischioso appoggio di persone comuni. Le azioni in solitaria, i tentativi di salvarsi, sono invece dei momenti dolorosi che rischiano di condurlo alla follia e oltre.
Ecco quindi che se dovessimo scegliere una parola per rappresentare il testo sarebbe certamente questa: resistenza. Una resistenza di piena umanità capace di sopravvivere alla fine di un mondo, in attesa di una sua ricostruzione.
LA LINGUA DI FENOGLIO
Quello linguistico è un aspetto che va trattato separatamente dal resto. “E perché?” direte voi. Semplice: il testo pubblicato da Einaudi è accompagnato dal saggio “La lingua del Partigiano Johnny”, del celebre studioso Dante Isella. È uno dei più importanti filologi italiani, insomma, a guidarci in questo mondo a parte.
La lingua è l’aspetto più complesso e intimamente legato all’autore, e rende “Il partigiano Johnny” un romanzo di grande forza e libertà espressive, a cui non mancano brevi momenti di sarcasmo.
[…] quasi nessuno si tratteneva dal fornire all’impassibile maresciallo, annotante in silenzio, ulteriori indirizzi di gente che poteva fornire di più e meglio. Era la lenta, forcipata nascita della coscienza fiscale in Italia? pensava Johnny. –p. 73
A lungo sottovalutato, “Il partigiano Johnny” ha ottenuto gradualmente sempre maggiori riconoscimenti e oggi è giustamente ritenuto uno dei più importanti romanzi italiani del Novecento. Calvino scriverà: “Probabilmente di tutti gli scritti di Fenoglio che conosciamo ci sono state stesure ‘alla Partigiano Johnny’ che oggi daremmo un occhio per avere”.
Pubblicato postumo nel 1968, il romanzo è la continuazione di “Primavera di bellezza”, la cui prima edizione è del 1959. Il testo che leggiamo è frutto di un attento lavoro editoriale su due diverse redazioni rimaste tra le carte dell’autore, e anche il titolo non è autografo.
Ciò però non toglie nulla alla grandiosa forza espressiva e immaginativa di Fenoglio, che fanno del Partigiano uno di quei libri da leggere almeno una volta nella vita.
E quando avrete finito il libro, potreste anche pensare di vedere il film omonimo.
Ogni suo passo parlava di angoscia e di abnegazione, ed il figlio alto e lontano sentiva che non avrebbe mai potuto ripagarlo, nemmeno in parte centesimale, nemmeno col conservarsi vivo. L’unica maniera di ripagarlo, pensava ora, sarebbe stata d’amare suo figlio come il padre aveva amato lui: a lui non ne verrà niente, ma il conto sarà pareggiato nel libro mastro della vita. –p. 11