“Il padrone di Jalna”: recensione del romanzo di Mazo De La Roche

Prosegue la storia della famiglia Whiteoak nel Canada tra 1854 e 1954, edita da Fazi

Il 2022 si apre, per quello che riguarda le mie letture targate Fazi, con un piacevole “ritorno a casa”, permettetemi l’espressione. Dopo tre romanzi, infatti, la famiglia Whiteoak è un po’ come una famiglia di amici, la tenuta di Jalna un luogo del cuore. Mazo De La Roche ha dato vita a una saga senza tempo, che nonostante sia stata scritta quasi un secolo fa non perde un grammo della sua freschezza. 

Avevamo lasciato i personaggi lo scorso anno, in “La fortuna di Finch” (qui la recensione), alle prese con i postumi della scomparsa della matriarca Adeline, le questioni legate all’eredità, il viaggio di Finch e degli zii in Inghilterra. In “Il padrone di Jalna” li ritroviamo due anni circa dopo. 

Renny e Alayne hanno avuto una figlia, Adeline, che ha ereditato i capelli rossi, la forza di volontà e il carattere feroce dell’omonima bisnonna. La bimba è una piccola mina vagante, e la sua gestione è terreno di scontro per i genitori, il cui rapporto è sempre più complicato. Il piccolo di casa, Wakefield, ha adesso diciassette anni, e dopo aver accantonato la vena poetica scopre l’amore per le ragazze. 

Gli zii invecchiano, la famiglia di Piers e Peasant si allarga, Renny affronta le preoccupazioni domestiche e la scarsità di denaro con il consueto piglio deciso – e nel frattempo si avvicina alla vedova Clara Lebraux – ma anche chi si è allontanato da Jalna, come Finch e Eden, non sembra capace di resistere a lungo al richiamo quasi atavico della dimora di famiglia. 

Tra litigi sulla gestione della proprietà, arrivi e partenze, drammi, nascite e nuovi amori, i membri della famiglia Whiteoak affrontano un nuovo susseguirsi di stagioni, circondati dalla natura del Canada, che è da sempre scenario per eccellenza di questa saga. 

Come ho scritto in apertura, leggere “Il padrone di Jalna” è un po’ come tornare a casa. I personaggi, le loro vicende intrecciate e in costante evoluzione, ma anche i paesaggi e gli ambienti domestici mi sono, dopo tre anni, teneramente familiari. E quando apro un romanzo di Mazo De La Roche non ho dubbi su ciò che mi troverò davanti, e non resto mai delusa. Tra tante incognite e interrogativi, questa saga è una garanzia!

I romanzi di Jalna hanno il passo dei grandi classici, delle grandi saghe familiari, e sono anche profondamente moderni, mescolano in modo perfetto toni drammatici con altri più leggeri e persino ironici. Leggendo questo libro ci si emoziona, ci si commuove, ci si infuria, si resta come di consueto rapiti dalla bellezza – talvolta beffarda – della natura.

I personaggi confermano la loro grandissima umanità, e probabilmente è proprio questo che aiuta la storia di Mazo De La Roche a non dimostrare i suoi quasi cento anni. Tutti, dal primo all’ultimo, commettono errori, cadono in tentazione, amano, vivono. Ci sarà sicuramente qualcuno per cui tenderete a parteggiare di più – nel mio caso ammetto di avere un debole per Renny fin dall’inizio – ma in ogni caso vi sarà impossibile non notare quanto ciascuno sia sfaccettato, complesso, in egual misura apprezzabile e deprecabile.

Il finale è, come di consueto, un non-finale, che lascia aperta ogni prospettiva per il futuro. I “vecchi” e i “giovani” sono partiti, chi per l’Inghilterra, chi per una vacanza; Piers e famiglia si sono trasferiti. A Jalna restano solo Renny, Alayne e Adeline, che adesso ha tre anni e mezzo. “Finalmente soli”, come recita il titolo dell’ultimo capitolo del romanzo.

E il lettore è già pronto a ritrovarli tutti nel prossimo capitolo della saga, per scoprire cos’è successo dopo – tranquilli, ci sarà modo. Perché, in caso non lo sapeste, Mazo De La Roche ha dedicato bene 16 romanzi alla famiglia Whiteoak. Ai voglia a leggere.