“Il mio nome è nessuno. Il giuramento”: la giovinezza di Odysseo

Valerio Massimo Manfredi ci porta in una Grecia antica senza Dei, dove l'uomo è il centro

In quanti, se dovessero scrivere un libro sulla Grecia antica, con spunti mitologici, non cederebbero alla tentazione di farcire la storia di Dei? A me, sinceramente, la tentazione verrebbe. Queste figure sovrannaturali, eppure profondamente umanizzate (nei miti), sono un polo di attrazione irresistibile. Invece nel libro di Valerio Massimo Manfredi Il mio nome è nessuno – Il giuramento, primo dell’omonima trilogia, non compaiono quasi mai.

La scelta di per sé è coraggiosa e particolare, ma sono i pensieri dei protagonisti che la rendono ancora più forte. L’esistenza degli Dei viene messa in dubbio. La Grecia di Odysseo non è già più quella nella quale gli Immortali camminavano sulla terra insieme ai comuni mortali – strano, se si pensa che da quel poco che ricordiamo sulla materia Elena dovrebbe essere figlia di Zeus, Achille della dea marina Teti e così via.

Uno degli elementi che più mi ha stupita di questo libro è che Manfredi riporta le storie narrate a una dimensione umana. Della madre di Achille non si sa nulla, e per il protagonista la donna potrebbe essere morta di parto.

Gli elementi divini vengono come smussati. Tutti i miti che conosciamo e amiamo sono portati a una dimensione più umana e realistica e, che piaccia o meno, questo è una scelta molto precisa e netta.

Da appassionata di mitologia e accanita lettrice di Omero, ho apprezzato molto che questo libro non sia “Ilio-centrico”. Insomma, come sono andate le cose sotto le mura di Ilio gloriosa lo sappiamo, con qualche rarissima eccezione, tutti. E tutti abbiamo visto gli eroi in guerra, le imprese, le morti. Anche di Odysseo a Troia – della sua astuzia e del suo inganno risolutore – sappiamo molto.

Ma cosa è successo prima? Di questo non si parla molto. Ho trovato molto bello, quindi, che Manfredi abbia scelto di iniziare dal principio. Molti particolari della fanciullezza del futuro re di Itaca mi erano del tutto sconosciuti. Non conoscevo molto della sua famiglia, niente di suo nonno. Anche l’incontro con Penelope, a Sparta, mi era del tutto ignoto. Questo romanzo arricchisce quello che sappiamo del personaggio, lo rende, se possibile, ancora più umano e sfaccettato.

Fino ad oggi avevo sempre finito per “tifare per i troiani – il che è folle, se ci pensate bene, visto che prima di iniziare a leggere/vedere si sa già benissimo come finirà la storia. La ragione è dalla parte dei Greci, è vero, eppure ci avete mai fatto caso? Di solito i difensori ci vengono presentati in modo da amplificare i loro aspetti positivi, sopratutto per quello che riguarda Ettore.

Pensate solo al film “Troy” di Wolfgang Petersen. Inesattezze e fantasticheria a parte, per quanto Brad Pitt sia un sublime Achille, è Ettore che intenerisce. Lui, con la sposa, il figlioletto, l’amore per il padre e la patria. Non si riesce proprio a mandare giù il fatto che debba morire. E così avviene in ogni altro libro o pellicola che io abbia mai visto. Tranne che in questo romanzo.

Manfredi, attraverso gli occhi di Odysseo, ci presenta un Paride davvero spregevole, un Priamo troppo debole e succube del figlio. Anche Ettore, per quanto grande guerriero, viene alla fine descritto come “troppo assetato di gloria”.

Queste caratterizzazioni, il fluire stesso della storia – e il fatto di raccontare come Odysseo cerchi di impedire la guerra, ma il re decida sempre di prendere le parti del figlio scellerato- portano il lettore a non parteggiare per i troiani. Che poi si faccia il tifo per la Grecia, è un’altra storia.