La lettura del romanzo “Il gruppo“, capolavoro di Mary McCarthy, che torna in libreria per Minimum Fax a oltre cinquant’anni dalla prima pubblicazione (1963), non potrà non fare felice chi, come la sottoscritta, ama le storie americane – meglio se newyorkesi – ambientate durante la prima metà del Novecento.
Il “gruppo” del titolo è costituito da otto inseparabili amiche, rigorosamente upper class, compagne di studi al Vassar, prestigioso college femminile. Dopo la laurea, nel 1933, iniziano tutte a inseguire qualcosa di diverso da ciò che il destino avrebbe previsto per loro, ma collezionano errori e sconfitte.
Il romanzo le segue a turno – nei quindici capitoli complessivi – nelle loro vicende erotiche e familiari, tra matrimoni poco felici, tradimenti, difficoltà coi figli o con i genitori, ma anche scelte sorprendenti e meno convenzionali per delle ragazze di quel periodo.
Un ritratto corale al femminile caustico e feroce, che mette alla berlina il sessismo e le illusorie consolazioni del progresso, raccontando, attraverso storie individuali, un’intera epoca. Un’opera affilata, di ampio respiro, in perfetto equilibrio tra satira e tragedia, e un affresco impeccabile dell’America di Roosevelt e del New Deal, sospesa tra i sogni di benessere collettivo e il permanere di un classismo spesso brutale.
Al di là delle vicende delle otto protagoniste, comunque intriganti pur nella loro semplicità («Queste ragazze sono figure essenzialmente comiche, ed è molto difficile far sì che nelle loro vite accada qualcosa di davvero importante. In realtà, non conoscono sviluppo» dichiarò la McCarthy in un’intervista), quello che colpisce e, è davvero il caso di dirlo, strega di “Il gruppo” è lo stile dell’autrice, il respiro del racconto.
Dopo una piccola resistenza iniziale a questo fiume di parole, elenchi e descrizioni puntuali si viene rapiti dalla narrazione, dal modo con cui la storia viene raccontata. Si viene rapiti dalla sua attenzione quasia maniacale per i dettagli, e per gli oggetti della vita quotidiana delle protagoniste.
Così finisce che quello che per alcuni critici americani dell’epoca era il principale difetto del libro – «un romanzo non abbastanza buono», «un romanzo per signore, superficiale, ben lontano dal modernismo muscolare e maschile» – si tramuta nel suo maggior pregio.
“Il gruppo” è un racconto affilato e di ampio respiro, che parte dall’individuale per raccontare le contraddizioni e i cortocircuiti di un’epoca intera. È una critica sociale, una commedia e un dramma. Affronta tematiche “quotidiane” e semplici, all’apparenza, come la contraccezione, la maternità, l’istruzione, l’allattamento addirittura, che nonostante gli anni che passano – scusatemi il gioco di parole! – non passano mai di moda. Sicuramente un romanzo da riscoprire.