“Il Dio della felicità”: recensione del cortometraggio di Fabrizio Benvenuto

Il cortometraggio racconta una storia a sfondo sociale con un punto di vista innovativo e horror

Un film di Fabrizio Benvenuto. Con Caterina Biasiol, Pierluigi Giante, Marta Anna Borucinska. Cortometraggio.

Rebecca è una giovane ragazza che non sta trascorrendo il periodo migliore della sua vita e ciò naturalmente si ripercuote sul suo umore, vorrebbe perdere parte ad una festa che si sta svolgendo nella stanza di fianco alla sua, ma la porta stranamente non si apre.

 

Perché, oggi, mostrarsi deboli, impauriti o tristi sembra essere diventato un peccato? Perché dobbiamo sempre essere felici e forti, anche quando è solo una finzione? Domande che ci poniamo costantemente in questa nostra società malata e disfunzionale.

Oggi viviamo sui social network più che nel mondo reale, in una comunità caratterizzata da egoismo, edonismo e da una grande indifferenza verso il prossimo. In questo mondo segnato dall’autismo esistenziale ed emotivo, il contatto fisico è diventato quasi vintage.

Eppure, nonostante tutto, siamo irrimediabilmente dipendenti e quasi diabolicamente attratti dal virtuale. E bramiamo una felicità vacua, pericolosa, annullandoci ed allineandoci alla supremazia dell’apparenza sulla sostanza.

Quella che potrebbe sembrarvi, cari lettori, solo una mia noiosa predica non è altro che il profondo e incisivo messaggio che si percepisce vedendo “Il Dio della Felicità”, il nuovo corto scritto e diretto da Fabrizio Benvenuto.

Presentato in anteprima il 27 ottobre al cinema Odeon di Bologna, in occasione dell’ottava edizione del festival di cortometraggi Movievalley Bazzacinema, è l’angosciante racconto della solitudine esistenziale che la studentessa Rebecca (Biasiol), che ha lasciato il suo paesino di provincia sperando di trovare nuovi amici e nuovi stimoli, sperimenta nella grande città. Speranza che presto si rivela infondata.

“Il Dio della felicità” è un corto ipnotico, avvolgente, incalzante, destabilizzante, che catapulta lo spettatore dentro la storia e lo porta a immedesimarsi nel disagio e nelle paure di Rebecca.

La particolarità è che, nonostante la tematica sociale, è stato pensato da Benvenuto come un horror, dove un’entità maligna, che si presenta attraverso l’inquietante quanto suadente voce fuori campo di Pierluigi Gigante, non desidera altro che possedere Rebecca riducendola in proprio potere.

Chi è realmente la voce? Perché Rebecca non può entrare nella stanza dove si sta svolgendo la festa? Sono solo alcune delle domande che si pone lo spettatore, incuriosito oltre che colpito da una messa in scena creativa e visionaria e da un’elegante e magistrale fotografia.