È uscito in libreria il 23 maggio, edito da La nave di Teseo, “Il caso Alaska Sanders” di Joël Dicker, seguito di “La verità sul caso Harry Quebert” (2012), da cui è stata tratta anche un’intensa miniserie, e terzo romanzo con protagonista lo scrittore Marcus Goldman e la sua famiglia.
Aprile 1999, Mount Pleasant, New Hampshire. Il corpo di una giovane donna, Alaska Sanders, viene ritrovato in riva a un lago. L’inchiesta viene rapidamente chiusa, la polizia ottiene le confessioni del colpevole, che si uccide subito dopo, e del suo complice. Undici anni più tardi, però, il caso si ripresenta.
Il sergente Perry Gahalowood, che all’epoca si era occupato delle indagini, riceve una inquietante lettera anonima. E se avesse seguito una falsa pista? L’aiuto del suo amico scrittore Marcus Goldman, che ha appena ottenuto un enorme successo con “La verità sul caso Harry Quebert”, ispirato dalla loro comune esperienza, sarà ancora una volta fondamentale per scoprire la verità.
Ma c’è un mistero nel mistero: la scomparsa di Harry Quebert. I fantasmi del passato ritornano e, fra di essi, quello di Harry Quebert.
Non penso di raccontarvi niente di nuovo: Joël Dicker sa come si scrive un buon thriller – anche se magari tende a insistere un po’ troppo su alcuni espedienti narrativi per creare suspence, ma ne parleremo tra un attimo. Nella realtà degli Stati Uniti meno appariscenti, quelli delle piccole cittadine e delle comunità dove si conoscono un po’ tutti, dimostra di sguazzare come un pesce nel mare. Ma “L’enigma della camera 622” del 2020 ha dimostrato che è anche capacissimo di allontanarsi da questa sua confort zone senza perdere in brillantezza.
“Il caso Alaska Sanders” torna a raccontare le vicende incrociate dello scrittore Marcus Goldman, del sergente della polizia di Stato Perry Gahalowood e, seppure in modo marginale, dell’enigmatico Harry Quebert. Lo fa concentrandosi su un altro “cold case”, l’omicidio della 22enne Alaska Sanders nella cittadina di Mount Pleasant, nel New Hampshire, nel 1999. E alternando tutta una serie di piani temporali, di storie e personaggi.
L’indagine è avvincente – ne è la riprova che in due giorni scarsi mi sono letta oltre 600 pagine, curiosa di scoprire il finale – ma alcuni elementi sono un po’ forzati. Prima di tutto il fatto che praticamente tutti mentano, nascondano segreti e confessino la verità solo in seconda – o terza, o quarta – battuta, messi davanti a prove schiaccianti. Questo è funzionale allo sviluppo della storia, alla costruzione dell’atmosfera generale, certo, però è anche poco credibile e poco naturale.
Nella stessa direzione va la sovrabbondanza di suicidi, ben tre nell’ambito della stessa indagine. Un espediente utilissimo per mettere a tacere un personaggio sgradito/scomodo o che avrebbe potuto far luce sulla vicenda in breve tempo, oppure per troncare una storyline, ma quanto è credibile che ben tre personaggi la facciano finita?
Come sottolineato da diverse recensioni online, Dicker tende a ricorrere molto spesso a chiusure di capitolo o di sotto-capitolo “ad effetto”, passaggi che anticipano punti di svolta futuri senza però svelare di cosa si tratta. Frasi come “Non immaginavo affatto la tragedia che lo aveva perseguitato per anni, fin agli avvenimenti che mi accingo a raccontare”. Personalmente mi hanno fatto pensare a un romanzo a puntate, pensato per essere pubblicato in diverse parti, ma in generale non mi hanno infastidita.
Più fastidiosi, dal mio punto di vista, gli accenni senza approfondimento ai Goldman di Baltimore, alle sorti dei cugini di Marcus Woody e Hillel e alla Tragedia. Mi rendo conto che, essendo la storia al centro del romanzo “Il libro dei Baltimore“, fare anticipazioni sarebbe controproducente, soprattutto per le vendite di quest’ultimo. Però che noia. Leggendo questi riferimenti volutamente troncati si ha la sensazione di una mossa di marketing studiata (che con me, tra parentesi, ha funzionato, perché ho appena comprato il libro) e questo fa perdere, anche se solo brevemente, la connessione con il protagonista.
Al di là di questi elementi costitutivi lievemente ripetitivi e dei salti temporali e spaziali che a qualcuno potrebbero non piacere (sembra oggettivamente di essere davanti a una Matrioska, dove un livello ne nasconde sempre un altro, più profondo), “Il caso Alaska Sanders” è un thriller avvincente, ben scritto, da leggere tutto d’un fiato.
Il finale lascia presagire che le “avventure” investigative di Marcus e del sergente Gahalowood non siano concluse – di “cold case” irrisolti è piena l’America! Joël Dicker riproporrà ancora una volta lo stesso schema, con i due che tornano a investigare sulla misteriosa morta di una giovane rimasta senza colpevole, in questo ipotetico nuovo romanzo della serie? Squadra che vince non si cambia, certo, ma forse l’autore potrebbe anche considerare di cambiare un po’, per non correre il rischio di risultare noioso… Staremo a vedere!