“House of the Dragon”: commento alla prima stagione della serie HBO

I punti di forza e i punti deboli, gli schieramenti del pubblico e gli scenari per la 2° stagione

Dopo 10 intense settimane si è conclusa la prima stagione di “House of the Dragon”, la serie HBO prequel del “Trono di spade”, che racconta le vicende della dinastia Targaryen, che ha regnato a Westeros per quasi trecento anni.

Gli sceneggiatori hanno deciso di iniziare il loro racconto con la guerra civile nota come “Danza dei Draghi” – ma in futuro potrebbero affrontare altri momenti della storia, come ad esempio la conquista di Aegon o la ribellione di Robert. 

Danza dei Draghi è il nome altisonante scelto per indicare la furibonda lotta intestina per il possesso del Trono di Spade del continente occidentale combattuta fra due rami rivali di Casa Targaryen tra gli anni 129 e 131 DC. Chiamare “Danza” i tetri, turbolenti, sanguinosi eventi di quel periodo appare grottescamente inappropriato. Senza dubbio alcuno, il termine trae la propria origine da un qualche cantastorie. “Morte dei Draghi” sarebbe un nome di gran lunga più sensato […]*

Qualche considerazione generale, dopo aver visto tutti e dieci gli episodi. Prima di tutto, “House of the Dragon” – e anche “Gli anelli del potere” – hanno dimostrato che il ritorno al “vecchio” format della distribuzione di un solo episodio alla settimana al pubblico piace. Abituati ad avere subito a disposizione l’intera stagione, per molti è stato bello, questo ritorno alle origini, all’attesa per l’uscita, la gioia della visione e una nuova attesa.

Adattare un libro, si sa, non è impresa semplice e richiede gioco forza delle modifiche e degli aggiustamenti – potete leggere in questo pezzo le 10 principali differenze tra i due format. Se alcune scelte sono quasi obbligate e in linea generale, come spettatrice, cerco di non scagliarmi mai contro gli sceneggiatori, che fanno il loro lavoro e cercano di rendere al meglio l’originale, ce ne sono altre incomprensibili.

Nel caso di “House of the Dragon” gli sceneggiatori avevano vita tutto sommato semplice, perché il libro di Martin “Fuoco e sangue” è una cronaca, non un romanzo. È tutto raccontato con uno stile asciutto, i personaggi sono bidimensionali e quasi non parlano, chi ha scritto la serie ha potuto scegliere la versione preferita tra quelle proposte dal maestro/autore e colmare i molti vuoti a suo piacimento.

A questo punto si rende necessaria una digressione circa le nostre fonti, giacché molto di quanto accadde negli anni successivi si svolse a porte chiuse, nell’intimità di scalinate, sale consiliari e camere da letto, ed è probabile che l’intera verità non sarà mai conosciuta.

Ma in alcuni passaggi – due, nello specifico! – le loro scelte mi sono sembrate avventate. Alicent decide di rivendicare il trono per il figlio perché crede sia l’ultima volontà di Viserys, che in realtà l’ha solo scambiata per Rhaenyra. Aemond non uccide intenzionalmente Luke, ma è un incidente, volontà del drago più che del cavaliere. Sono dettagli importantissimi, perché contribuiscono a rendere l’intera storia meno intenzionale, i personaggi (verdi) meno “cattivi” o colpevoli o ambiziosi.

Ma questa non è una storia dove ci sono buoni e cattivi: è una storia dove persone ambiziose lottano per un trono. E togliendo alle azioni dei personaggi intenzionalità si rende il tutto meno forte, intrigante e coerente. Perché adesso come sarà possibile giustificare alcuni eventi della prossima stagione – Blood and cheese, non dico altro?! O i neri ne usciranno come pazzi assassini oppure si dovrà intervenire ancora, stemperando i toni e rendendo tutti più “buoni”. 

Ma, come ho già detto, non c’era necessità di farlo. Aemond vuole vendetta per il suo occhio perduto e uccide il figlio della sorellastra, non premeditandolo ma quando gli si presenta l’occasione. Alicent e il suo “partito della regina” sono convinti da sempre che Aegon, il primogenito maschio del re, abbia tutto il diritto di ereditare il trono. Non c’è niente di male in questo, non nell’universo di Game of Thrones/House of the Dragon immaginato da Martin. Mantenendo l’intenzionalità e l’impostazione del libro, penso che la storia sarebbe risultata più coerente, e anche più semplice da gestire per il futuro.

Poi Viserys di Casa Targaryen, primo del suo nome, re degli andali, dei rhyonar e dei primi uomini, lord dei Sette Regni e Protettore del Reame, chiuse gli occhi e si addormentò. Non si svegliò più. Aveva cinquantadue anni, e per ventisei aveva regnato su gran parte del continente occidentale. A quel punto si scatenò la tempesta, e i draghi danzarono.

E veniamo alla seconda “questione”: lo schieramento del pubblico. Non è una novità: alcuni personaggi delle serie fanno breccia nel cuore di chi guarda, tanto da sentirli vicini e desiderare che le loro azioni sullo schermo corrispondano sempre all’idea che ci siamo fatti. Ma se gli sceneggiatori “deviano dal seminato”, se succede qualcosa di imprevisto o poco gradito non significa che il loro lavoro è da buttare o che il personaggio in questione è rovinato!

Prendiamo Daemon, il più apprezzato dal pubblico e anche il preferito di Martin, ça va sans dire. Il suo comportamento nel decimo episodio ha generato molti malumori, ma personalmente credo che sia abbastanza coerente con quello che gli sceneggiatori ci hanno fatto – e soprattutto, non ci hanno fatto! – vedere durante la stagione. La violenza fisica poteva forse essere evitata, ma si inserisce in una precisa scelta narrativa (giusta? sbagliata? parliamone!): mostrarci il peggio di questo che è un personaggio a tutti gli effetti bivalente. 

Nel corso dei secoli, Casa Targaryen aveva prodotto sia grandi uomini che mostri. Il principe Daemon era entrambe le cose. Ai suoi tempi non ci fu un altro uomo così ammirato, così amato e così detestato in tutti i Sette Regni. Era fatto di luce e di ombra in egual misura. Per alcuni era un eroe, per altri il più nero dei malvagi.

L’alzata di scudi di oggi mi sembra poco coerente, se mai sarebbe dovuta esserci dal secondo episodio. Basterebbe aver letto il libro per capire infatti che se da un lato gli sceneggiatori hanno potenziato la componente romance della storia, dall’altro hanno cercato da sempre di mostrare più i lati negativi di Daemon che quelli positivi (probabilmente per renderlo, senza riuscirci, meno simpatico al pubblico). Solo qualche esempio: nel libro Daemon non uccide la prima moglie, Rhea Royce, ma si trova altrove quando lei muore. Nel libro aspetta davvero un figlio da Mysaria, quindi il furto dell’uovo non è solo il capriccio di un uomo in cerca di attenzioni.

Nella serie sono stati modificati molti comportamenti “umani” e positivi di Daemon, eppure fino a ieri questo non ha impedito al pubblico di amarlo. Si può gridare allo scandalo per uno scatto d’ira? Il Daemon televisivo è questo, che piaccia o meno. Solo che, finché le sue “malefatte” non coinvolgevano il rapporto con Rhaenyra, non c’erano problemi. Quando è stato toccato quello… Andate a leggere il libro, se volete un ritratto veritiero di questo – a mio parere bellissimo – personaggio. E speriamo che in futuro chi di dovere decida di essere un po’ meno di parte, mostrando tutte le sue sfumature e non solo quelle che avvallano l’idea del “villain”.

Che dire per concludere. La prima stagione di “House of the Dragon” è visivamente molto bella, emozionante e ben sviluppata. Ci sono due passaggi che sarebbero potuti essere gestiti in modo diverso, soprattutto in previsione del futuro. La domanda è cosa aspettarsi adesso dalla seconda stagione. Gli sceneggiatori resteranno aderenti al materiale originale, per una storia brutale e drammatica, o interverranno ancora in senso “buonista”? Io sinceramente spero la prima. Perché questa è una tragedia (sul modello classico), una storia con grandi spargimenti di sangue portata avanti da personaggi – uomini e donne! – determinati e prontissimi a sporcarsi le mani per il trono. Togliete loto la sete di potere e li avrete davvero trasformati in qualcos’altro. 

 

* Tutte le citazioni sono tratte da “Fuoco e sangue” di George R.R. Martin, edito in Italia da Mondadori.