“God is a woman”: la storia del leggendario film sul popolo Kuna

Il documentario di Andres Peyrot è atipico e carico di umanità ma pecca nella tecnica

Un film di Andres Peyrot. Documentario, 85′. Francia, Svizzera, Panama 2023

Nel 1975, il regista francese premio Oscar Pierre-Dominique Gaisseau approda a Panama per girare un documentario sul popolo Kuna, per cui le donne sono sacre. Gaisseau, sua moglie e la figlioletta Akiko vivono assieme ai Kuna per oltre un anno, ma il progetto ben presto esaurisce i fondi e una banca finisce per confiscare le bobine. Cinquant’anni dopo, i Kuna stanno ancora aspettando il “loro” film, ormai divenuto leggenda e tramandato oralmente dagli anziani alle nuove generazioni. Finché un giorno, una copia nascosta viene scoperta a Parigi…

 

Il cinema è da sempre considerato il regno dei sogni e delle illusioni, eppure può avere anche una forte valenza politica, sociale e divulgativa. Vi sembrerà una premessa banale, ma nel caso di “God is a woman”, il documentario di Andres Peyrot, presentato come film di apertura della Settimana della Critica a Venezia 2023, è questo lo spunto di base.

Il regista racconta la storia di un sogno spezzato, di un progetto incompiuto che ha lasciato l’amaro in bocca a diverse generazioni, partendo dalle origini e ricostruendo la storia come si trattasse di un giallo.

Nel 1975 il regista francese Pierre-Dominique Gaisseau, premio Oscar qualche anno prima, arriva a Panama per girare un documentario sul popolo Kuna, per cui le donne sono sacre. Il progetto si arena, le banche confiscano le bobine. Cinquant’anni dopo, i Kuna stanno ancora aspettando il “loro” film, che ormai è diventato una sorta di leggenda…

La prima parte di “God is a woman”, dove gli anziani e i figli dei protagonisti rievocano quelle giornate di metà anni ‘70 sul set sono coinvolgenti. La seconda, invece, dove una copia superstite del film viene rinvenuta e poi, finalmente, proiettata è più noiosa, lunga e retorica.

Un documentario atipico, autentico e carico di umanità, quello di Andres Peyrot, che si perde però tra una sceneggiatura debole e soprattutto una messa in scena autoreferenziale. Il progetto era meritevole, l’orgoglio e la resilienza dei Kuna meritano sicuramente il grande schermo; la resa finale molto meno.