Come ogni festival del cinema che si rispetti, la Biennale non ruota solo intorno ai film in lizza per il Leone d’Oro, ma ne propone anche molti altri, divisi in sezioni e sottosezioni.

Per le Giornate degli Autori 2017, ho assistito a due produzioni italiane molto diverse tra loro, ma che – ahimè – non mi hanno convinta fino in fondo: “I’m infinita come lo spazio” di Anne Riita Ciccone e “Il contagio” di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini.

 

“I’M INFINITA COME LO SPAZIO”: UN FANTASY INSENSATO AMBIENTATO SULLE ALPI

di Anne Riitta Ciccone. Con Barbora Bobulova, Mathilde Bundschuh, Julia Jentsch. Drammatico, 112‘. Italia, Germania, Polonia, 2017

Film in 3D ambientato in un paesino delle Alpi in un futuro che assomiglia terribilmente al presente e girato interamente in inglese – e non in italiano o tedesco come avevo immaginato.

Protagonista è Jessica (Bundschuh), un’adolescente introversa ed emarginata a scuola in perenne conflitto con la madre, che sogna di frequentare l’accademia d’arte.

Nel suo stesso palazzo vivono una cantante delusa dal mondo musicale gretto e meschino (Bobulova) e un compagno di scuola, se possibile ancora più introverso di lei, che la osserva da lontano ma ha paura ad avvicinarsi.

Una realtà strana, quella dipinta nel film di Anne Riita Ciccone, che culturalmente non corrisponde né a quella italiana né a quella austriaca né a quella inglese. Potremmo dire che la dimensione di “I’m (endless like the space)” è del tutto originale, con influenze americane – vedi il tema del bullismo a scuola e le partite di hockey sul ghiaccio – e colori accesi che l’avvicinano a un cartone animato giapponese.

Il film scorre lentamente su una colonna sonora metal e punk, narrando i conflitti e i fallimenti dei personaggi, fino al culmine totalmente imprevisto: uno studente si arma di fucile e semina il panico a scuola. Così, out of the blue.

Perché? Non c’è un filo narrativo che giustifichi questo comportamento, sembra quasi che si sia voluto inserire un evento tragico a caso per far riavvicinare i protagonisti e risolvere le situazioni critiche. Non ha senso, a mio parere.

Bei paesaggi alpini, bei colori, bella fotografia, ma la storia non ha senso. E la recitazione in inglese di alcuni attori italiani dovrebbe essere rivista… Film audace, ma non convincente.

 

“IL CONTAGIO”: VITE SPEZZATE E PERIFERIE “BRUTTE” NEL FILM DI BOTRUGNO E COLUCCINI

Un film di Matteo Botrugno, Daniele Coluccini. Con Anna Foglietta, Vinicio Marchioni, Vincenzo Salemme, Giulia Bevilacqua, Maurizio Tesei, Luciana De Falco, Daniele Parisi, Michele Botrugno. Drammatico. Italia, 2017

“Il contagio” di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, invece, parte da presupposti ben diversi. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Walter Siti e ha un cast esperto, per questo avevo grandi aspettative.

Al centro della scena, la Roma dei quartieri popolari, dove i protagonisti sopravvivono a malapena, sopraffatti dalle incomprensioni e dalla dipendenza da cocaina.

Mauro (Tesei) e Marcello (Marchioni) stringono un legame di amicizia, ma quando Mauro si arricchisce grazie a una cooperativa truffaldina con un malavitoso si dimentica del vecchio amico perennemente nei guai. E le conseguenze, ça va sans dire, saranno tragiche.

Buona interpretazione, bella fotografia, bellissima colonna sonora: ma dov’è la novità? Sembra solo l’ennesimo film sulla Roma dei bassifondi, tutto conflitti, incomprensioni e spaccio.

Siti afferma che questo “Contagio” è indipendente dal libro e ha avuto uno sviluppo tutto suo. Per esprimere un parere a riguardo dovrei leggerlo. Quel che posso dire è che mi aspettavo molto di più dell’ennesima pellicola sulla periferia “brutta” e le vite spezzate. Pasoliniano, chiede qualcuno Forse un po’, ma non regge il confronto con il maestro.