Un film di Neil Burger. Con Shailene Woodley, Theo James, Ashley Judd, Maggie Q, Kate Winslet. Azione, 139′. USA, 2014
In un futuro in cui una grande guerra ha reso necessario un mutamento nell’organizzazione delle società, la razza umana vive divisa in cinque caste la cui appartenenza non si dà per nascita ma per scelta individuale al compimento della maggiore età. I Candidi si occupano di esercitare la legge, i Pacifici coltivano la terra per sfamare tutti, gli Eruditi sono insegnanti e ricercatori, gli Abneganti si occupano di governare e infine gli Intrepidi si occupano della protezione. Al momento di compiere il test, Beatrice Prior risulta divergente, cioè non affine a nessuna categoria, un risultato rarissimo che la mette in pericolo. L’ordine sociale infatti impone di eliminare quelli come lei poiché la loro stessa esistenza è una minaccia all’ordine. Celando la sua vera natura Beatrice sceglie gli Intrepidi e comincia il suo addestramento a una vita di cui non è certa.
Come preannunciato, non ho potuto resistere al richiamo del film avventuroso, romantico e distopico. Vediamo com’è andata la visione di “Divergent”, adattamento del primo romanzo della trilogia di Veronica Roth.
Premetto che non ho ancora letto il libro, quindi non posso fare paragoni né dire quanto la resa cinematografica sia stata fedele all’originale (ma dai commenti che ho letto qua e là, sembrerebbe parecchio). Mi riservo di tornare sull’argomento.
È più forte di tutto – almeno, è stato più forte di me! – il confronto tra questo film e Hunger Games viene naturale. A ben vedere la storia non è molto diversa nell’impostazione generale, prescindendo dall’ambientazione e dal tipo di mondo che circonda le due protagoniste.
In entrambi i casi c’è un’eroina che è diversa dagli altri, ed è un pericolo per la società proprio per il suo essere differente. In entrambi i casi c’è una sorta di iniziazione, una cerimonia che porta la suddetta eroina a prendere una decisione che cambierà la sua vita. In entrambi i casi c’è una lotta contro il potere centrale e autoritario che vuole sopprimere la diversità e dettare legge. In entrambi i casi – ma questo lo so solo perché ho “barato” e sono andata a sbirciare le trame anche degli altri due capitoli della serie della Roth – lo scenario è più complesso di quanto le protagoniste avrebbero potuto immaginare e capire chi sono i buoni e chi i cattivi si rivelerà tutt’altro che semplice.
Parallelismi a parte, come risulta questo film? A mio modesto parere convincente. È vero che per chi ha visto/letto Hunger Games alcune cosette non sono propriamente una novità, però “Divergent” è abbastanza diverso per ambientazione, personaggi e società di riferimento da non risultare un clone della saga di Suzanne Collins.
Iniziamo dall’ambientazione. In un futuro non meglio precisato – lo immaginiamo post-apocalittico per convenienza e abitudine? – gli esseri umani hanno posto fine alle guerre dividendosi in cinque fazioni, ognuna preposta a svolgere il compito più consono alle naturali inclinazioni degli appartenenti. Tutti vivono a Chicago, protetti da una recinzione che tiene la città separata dal mondo fuori.
Il dubbio su cosa ci sia, di preciso, al di là del confine penso che sia venuto a tutti. Gli abitanti di Chicago sono davvero gli unici sopravvissuti alla guerra? Oppure la divisione dal mondo è nata per un altro motivo? La metropoli in sé per sé è credibile. Suddivisa nettamente tra le fazioni, che si contraddistinguono anche per i colori degli abiti e il tipo di abbigliamento.
Il “campo” degli Intrepidi, che è la location che esploriamo di più in questo primo film (essendo qui che si stabilisce la protagonista Tris dopo aver scelto di appartenere al gruppo dei coraggiosi), è un mix tra un carcere di massima sicurezza e un centro di addestramento per soldati. L’aspetto metropolitano fatiscente (con il treno malandato che trasporta gli Intrepidi a “casa”), gli edifici crepati e via dicendo si combina con quello più tecnologico e futuristico (i sensori per la prova di simulazione mentale, le armi, ecc.). C’è spazio anche per degli ambienti in stile grotta naturale. Tutto contribuisce a dare un tono al periodo dell’addestramento delle matricole.
E ora i protagonisti. Beatrice – Tris ha atteggiamenti e movenze da bambina, ma non è detto che sia un male. Non si deve avere come modello di riferimento Katniss Everdeen – la sua durezza e il distacco dagli altri – per giudicare la bellezza e credibilità di una protagonista. In questo primo capitolo della saga, Tris è soprattutto una persona divisa, combattuta, che non sa a quale posto appartiene e perché è quello che è.
La dolcezza e l’innocenza della Woodley penso che si addicano perfettamente al personaggio, in questa fase di scoperta di sé stessa. In un mondo dove la fazione viene prima di tutto, dove le persone sposano completamente la caratteristica madre del gruppo a cui si affiliano (e lo fanno perché se lo sentono dentro, perché quello è ciò che sono nel profondo), non sentire un’inclinazione chiara per nessuna fazione è drammatico. Tris vive questo dramma. Deve fare una scelta senza avere una guida. E dopo deve vivere con persone diverse da lei, e comportarsi da Intrepida quando il suo io la spinge anche in altre direzioni.
Ho apprezzato molto il Quattro della prima ora di film – l’addestratore freddo e controllato, duro e potente. Un po’ meno la versione più soft del personaggio, quella che inizia a emergere da metà storia in poi… Possibile che per essere “innamorati” si debba necessariamente rinunciare a una mascolinità spiccata?
È vero che vedere le debolezze di Quattro è sensato, perché mostra come non esistano automi, ma solo persone con punti di forza e debolezze, ma nonostante questo… C’è bisogno di personaggi forti e concreti, per sostenere un film. Soprattutto se già la protagonista femminile è uno scricciolo, con atteggiamenti da bambina. Come sarà il Quattro del prossimo film? Speriamo in bene…