Se vi è capitato di leggere a suo tempo la mia recensione di “Sangue e onore“, il primo capitolo di questa duologia che Sarah Dunant ha dedicato a una delle famiglie più note e chiacchierate del Seicento italiano, i Borgia, saprete che quel libro non mi aveva fatto impazzire. Lo avevo trovato molto freddo, molto cronachistico ma poco piacevole da leggere.
Alla luce di questo, le mie aspettative su “Danzando con la fortuna“, uscito a luglio per Neri Pozza, non erano altissime – temevo di ritrovare i “difetti” di stile che mi avevano già fatto scuotere la testa allora.
Ebbene, devo dire invece che nei quattro anni che sono passati tra l’uscita dei due libri in Italia, la Dunant – oppure la sua traduttrice – deve avere avuto modo di riflettere sui suoi peccati, perché questo romanzo è migliore sotto tutti i punti di vista.
Prima di tutto – e mi perdonerete la banalità, ma come lettrice è la prima cosa che guardo – è piacevole da leggere, perché la storia, per quanto nota, è scritta in modo avvincente e appassionato. L’alternarsi dei punti di vista – quello di Papa Alessandro e dei figli Cesare e Lucrezia, ma anche di Nicolò Machiavelli, inviato di Firenze presso il Duca – contribuisce a dare movimento e vivacità al racconto. Non c’è tempo di annoiarsi, tra incontri con gli altri prelati e sotterfugi, banchetti alla corte estense e rivalità, scorribande e battaglie.
“Danzando con la fortuna” offre uno spaccato ricco e variopinto dell’Italia del periodo, portando il lettore dalla Firenze post Savonarola, impegnata a ritagliarsi uno spazio nel nuovo scacchiere politico, alla Ferrara degli Este, dalla curia romana alla Francia.
I personaggi che tanto mi erano sembrati scialbi e privi di mordente e umanità nel primo romanzo, adesso sprizzano energia e vitalità da tutti i pori e sono uno dei punti di forza del libro. Ho avuto personalmente una predilezione per le parti dedicate a Lucrezia – forse perché la sua storia di donna e il suo punto di vista sono quelli che ho sentito più vicini – ma comunque anche le parti di Rodrigo e Cesare non sfigurano.
Certo il duca Valentino continua a non risultare un personaggio simpatico o positivo, sotto nessun punto di vista. Per quanto Rodrigo Borgia ci venga mostrato in tutti i suoi limiti e difetti – è un vecchio che nella vita si è lasciato andare ai piaceri della carne e della tavola, tutt’altro che un uomo di chiesa modesto e pio, e anche superati i 70 è iracondo, vendicativo, pronto a sacrificare il bene della Chiesa per la famiglia – avvertiamo comunque in lui qualcosa di buono, un’umanità di fondo che non ce lo fa considerare del tutto da condannare.
Nel Valentino no. Cesare Borgia non riesce in nessun momento – neppure quando accorre al capezzale della sorella malata, neppure quando è con la sua amante – a scrollarsi di dosso la maschera che indossa in pubblico, a mostrarsi “nudo” e quindi vicino. Cesare Borgia risulta sempre estraneo al lettore, sempre un condottiero dedito alla sua missione di conquista, sempre quel personaggio di cui ci hanno parlato i libri di storia e niente altro. L’uomo dietro la Storia rimane del tutto celato, inaccessibile, sconosciuto. Purtroppo l’opera di narrativizzazione della Dunant in questo ha fallito.
Nonostante questo appunto sul personaggio di Cesare, il libro è meritevole. Per quanto si tratti di un romanzo storico, per sua natura impegnativo e corposo, scorre via che è una meraviglia. E quando si arriva all’ultima pagina si prova tristezza per dover abbandonare quell’epoca instabile ma affascinante – soprattutto da vivere solo di rimando e non in prima persona! – e quei personaggi che, bene o male, hanno fatto la Storia e sono arrivati, con le loro imprese, fino ai giorni nostri.