Un film di Clint Eastwood. Con Clint Eastwood, Eduardo Minett, Natalia Traven, Dwight Yoakam, Fernanda Urrejola. Drammatico, 104′. USA 2021
Mike Milo è una vecchia gloria del rodeo riconvertita in addestratore di cavalli alla fine degli anni Settanta. Un incidente e diverse bottiglie dopo è in credito con la vita e in debito col suo capo, Howard Polk. Padrone di un ranch con pochi scrupoli e molte ambasce, Polk affida a Mike la missione di ritrovare suo figlio in Messico e di condurlo negli States. Mike accetta ma le cose non saranno così facili. Rafael è testardo come il gallo con cui si accompagna, sua madre violenta come gli uomini di cui si circonda. Dissuaso a più riprese dagli scagnozzi della donna, decisa a trattenere il figlio al di qua del confine, Mike persiste e convince Rafael a seguirlo. L’improbabile duo incontrerà molti ostacoli lungo la strada ma altrettante corrispondenze che metteranno le rispettive vite nella giusta prospettiva.
In passato la figura del macho, soprattutto al cinema, riscuoteva un grande successo. Penso ai cowboy degli western anni ‘60 e ‘70, uomini duri, di poche parole, che risolvevano (quasi) ogni contesa ricorrendo alla fida pistola.
Uno degli attori che ha dato la migliore interpretazione di questo personaggio è sicuramente Clint Eastwood, di cui Sergio Leone, toppando clamorosamente, a suo tempo disse: “Eastwood ha due espressioni, con o senza cappello”.
Gli anni hanno poi dimostrato le grandi doti dell’attore e regista americano, capace di emozionare e sorprendere con storie e ruoli diversi, ricchi di umanità e sensibilità. Nell’ultimo periodo lo abbiamo visto utilizzare il suo corpo come strumento stesso di racconto, mostrando il tramonto del vecchio cowboy e più in generale lo stile di vita di una generazione ormai in via d’estensione.
Clint Eastwood è uno dei pochi cineasti viventi che ama raccontare la vita senza utilizzare stratagemmi narrativi improbabili, con un realismo che definirei “eastwoodiano”. Il suo è un cinema essenziale, diretto, giocato sui silenzi, gli sguardi e la fisicità dei protagonisti piuttosto che sulle parole. Un cinema che divide: o lo si ama o lo si odia.
“Cry macho – Ritorno a casa”, uscito al cinema a dicembre e disponibile dall’8 agosto su Sky Cinema e NOW, si inserisce alla perfezione nella cinematografia del regista. Il pubblico viene trasportato nel Messico del 1980, dove si muove Mike Milo, un vecchio cowboy chiamato a saldare un debito di riconoscenza con il suo ex capo riportando negli Stati Uniti il figlio Rafael.
Il protagonista, duro dal cuore tenero, ricorda i personaggi dei vecchi western, ma con l’aggiunta di una saggezza e una sensibilità maturate nel tempo, frutto anche del cambio di registro e pensiero che l’uomo prima ancora che l’attore ha compiuto negli anni.
Al di là di questa analisi concettuale, “Cry Macho” è un film lento, a tratti quasi statico, che rischia di esasperare il pubblico amante del genere western. Inizialmente si resta spiazzati dall’assenza quasi totale di pathos e azione in una storia ambientata sulle strade pericolose del Messico.
Ma è qui che si rivelano tutto il talento e l’esperienza registica di Clint Eastwood, che riesce a far comprendere a chi guarda il senso del suo film con i suoi tempi. “Cry Macho” è infatti una storia di amicizia, di crescita interiore e pacificazione raccontata con delicatezza e quasi sottovoce, che mette anche in evidenza con pacato disincanto come il “machismo” sia, in ultima analisi, una grande idiozia.
Un film che va gustato senza farsi prendere dalla frenesia, aspettato, apprezzando en passant la presenza in scena di un maestro come Clint Eastwood, che a 92 anni compiuti non si tira indietro davanti all’occasione di tirare un pugno a un manigoldo o corteggiare una bella donna.
Il macho sarà anche superato, ma il vecchio leone di Hollywood non sembra ancora pronto ad appendere cappello – e cinepresa! – al chiodo, e noi non possiamo che gioirne.