“Cento anni”: come Caporetto interroga ancora la nostra identità

Nel centenario della sconfitta italiana per antonomasia, il documentario di Ferrario parla al presente

Un film di Davide Ferrario. Con Mario Brunello, Diana Hobel, Fulvio Falzarano, Laura Bussani, Marco Paolini. Documentario, 85′. Italia, 2017

Data di uscita italiana: 4 dicembre 2017

Punto di partenza e paradigma per misurare le disfatte italiane a venire, Caporetto è un “caposaldo della memoria”, snodo imprescindibile per ogni riflessione sulla nostra storia contemporanea. Da questo snodo amorfo, semplificato dalla storiografia dell’immediato, comincia il documentario di Davide Ferrario che inserisce il traumatico evento nel quadro complesso del conflitto e poi in quello più impervio dell’Italia.

 

Molti campioni dello sport raccontano che le loro vittorie più belle e prestigiose sono state costruite a partire da sconfitte brucianti. È dopo aver toccato il punto più basso che qualcuno trova la forza per rialzarsi e rinascere. Un’idea, in realtà, che può essere estesa a ogni settore.

Pensiamo solo alla storia. Se le vittorie vengono celebrate, sono spesso le sconfitte a rimanere più impresse e cementare l’unità nazionale. Se i francesi in questo senso hanno Waterloo, per noi italiani c’è Caporetto, nella prima guerra mondiale (24 ottobre 1917).

Poco più di un mese fa è ricorso il centenario della battaglia, una delle pagine più buie della nostra storia moderna non solo a livello militare ma anche umanitario e sociale.

Non molti sanno, infatti, che lo sfondamento delle truppe austriache portò, da una parte, alla fuga di migliaia di profughi verso il sud, dall’altra a condizioni di vita terribili per chi rimase. Fame, violenze, stupri, e successivamente processi per tradimento per chi tornò a casa segnarono quel periodo sfortunato e buio.

Davide Ferrario, nel toccante documentario “Cento anni”, svela anche questa pagina poco conosciuta, rievocando quei terribili momenti attraverso le testimonianze dei sopravvissuti riadattate in forma di intensi monologhi di stampo teatrale, capaci di trasmettere emozioni sincere a chi guarda.

Ma c’è dell’altro, perché Caporetto è solo uno dei momenti che hanno segnato questi 100 anni di storia d’Italia. Dopo il ‘17 si passa alla seconda guerra mondiale. Altrettanto forte è il racconto di quel periodo, affidato allo scrittore Massimo Zamboni. Il nonno, fascista convinto, venne assassinato nel 1944 da due partigiani. I due, amici da sempre, si rincontrarono venti anni dopo e si uccisero a vicenda con la stessa pistola del primo omicidio.

A seguire, la strage di Piazza della Loggia a Brescia (28 maggio 1974) e il viaggio tra le montagne del Centro Sud del poeta Arminio per evidenziare il calo demografico, che appaiono però più deboli, retorici sia a livello narrativo che di messa in scena e soprattutto meno coinvolgenti.

A che cosa servono i morti? chiedono con insistenza i prime tre episodi. A che cosa servono i vivi? rilancia invece il quarto. Due domande apparentemente lontane, ma legate in realtà da un filo rosso profondo.

Un Paese non potrà mai definirsi grande e civile se, da un lato, non ha cura della sua memoria storica, tramandando il ricordo dei morti in guerra e in pace, e dall’altro se non offre ai giovani gli strumenti necessari per formare una loro famiglia.

 

Il biglietto da acquistare per “Cento anni” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.