Ci siamo: febbraio è arrivato e io finalmente sto per tornare a seguire in presenza il mio festival, la Berlinale. Dopo due anni di attesa, l’idea di ritrovarmi a correre su e giù per la Alte Potsdamer Strasse con un badge che mi dondola al collo sembra quasi irreale.
Certo, ci sarà qualche piccola seccatura (leggi: covid test quotidiano) ma mi dico che se ce l’ha fatta l’amico e collega Roberto Sapienza in quella bolgia di Cannes ce la posso sicuramente fare anch’io qui in Germania. E in realtà personalmente approvo la decisione degli organizzatori di predisporre controlli rigorosi, perché in una situazione come questa la prudenza davvero non è mai troppa…
A causa delle misure anti-pandemiche, il Festival di Berlino 2022 sarà più breve del solito – o meglio, lo sarà quello propriamente detto. Sette giorni invece dei consueti dieci dall’apertura alla cerimonia di premiazione, con il Publikumstag (la giornata dedicata al pubblico, durante la quale si tiene la riproiezione di tutti i film) che passa invece da un unico giorno, l’undicesimo, a quattro.
Questa scelta rende la Berlinale ancora più orientata verso il pubblico, e l’idea non mi dispiace. Certo, ci sarà da capire come sarà la settimana degli addetti ai lavori e della stampa – me compresa – perché comprimere tutte le attività in sette giorni invece dei canonici dieci potrebbe risultare alquanto stressante, agenda alla mano. Ma vi farò sapere alla fine.
Passando a parlare di film, che è quello che ci interessa di più, sono molto curiosa di vedere il nuovo film di Dario Argento, “Occhiali neri”, ma anche “The novelist’s film” di Hong Sangsoo e “Good luck to you, Leo Grande” di Sophie Hyde, con la fantastica Emma Thompson. E come di consueto sono prontissima a farmi stupire, perché quello che davvero desidero è godermi del buon cinema.
L’ultima “vera” Berlinale, concedetemi il termine, quella del 2020, si era conclusa con la vittoria di un film che mi aveva colpito intensamente, diventando forse uno dei miei preferiti di tutte le edizioni, “There is no evil” dell’iraniano Mohammad Rasoulof (qui la mia recensione). Non sarebbe bellissimo se quest’anno succedesse una cosa simile?