Un film di Phillip Youmans. Con Wendell Pierce, Karen Kaia Livers, Dominique McClellan, Braelyn Kelly. Drammatico, 77′. USA 2019
Una madre spaventata dalla vita e lasciata sola a occuparsi del figlio, alcolista e senza lavoro; una moglie che cerca di salvare il suo uomo dal disastro; un prete che, dopo la morte di sua moglie, cerca la fede nella bottiglia piuttosto che nella chiesa: sono alcuni dei disperati che vivono nella parte più desolata della Louisiana a contatto con una natura di bellezza abbacinante e apparentemente indifferente alla brutalità degli uomini.
Una donna che non sa più come aiutare il suo cane vittima della scabbia; un pastore che ha il vizio dell’alcool; un padre che ha perso da poco il lavoro. Cos’hanno in comune queste persone?
Sono alcuni dei disperati protagonisti di “Burning cane” di Phillip Youmans, il primo film della mia avventura alla Mostra del cinema di Venezia 2019, inserito nel programma delle Giornate degli autori.
Tra i tanti temi affrontati ce ne sono alcuni a me molto cari, come il rapporto padre-madre-figlio, l’affetto per un animale domestico, la malattia, e altri di grande impatto – la dipendenza dall’alcool, la religione, la disoccupazione, la violenza.
Le premesse erano buone, così come risulta esserlo la regia, statica ma studiata, e la fotografia, scura, rivelatrice di abissi nell’intimo, nell’umano. Ma questo non basta a fare del film un’opera riuscita.
Quello che manca a “Burning cane” è lo sviluppo, una sceneggiatura costruita come si deve. Qui le premesse e le introduzioni sono trascinate fino alla fine, senza svolgimento o evoluzione. E alla fine si brucia anche la possibilità di un finale degno di questo nome.
Io ho percepito il film di Youmans (promettente) come un’occasione sprecata, un’intenzione e delle tematiche che se ben sviscerate sono potenti ma che in questo caso restano solo buone idee sulla carta. E niente più.