xUn film di Spike Lee. Con Adam Driver, Ryan Eggold, Topher Grace, Laura Harrier, Robert John Burke. Biografico, 128′. USA, 2018
Colorado, anni ’70. Ron Stallworth entra nel Dipartimento di polizia di Denver dopo la laurea. Fra i suoi primi incarichi c’è quello di infiltrarsi a un incontro con il leader afroamericano Stokey Carmichael, dove Ron si imbatte in Patrice, una sorta di Angela Davis organizzatrice dell’evento e convinta sostenitrice del movimento di auto-affermazione black. È un risveglio per il giovane che fino a quel momento sembrava non aver prestato troppa attenzione alla propria appartenenza razziale, né troppo valore al proprio background etnico.
Avete presente quei film che vi fanno ridere, riflettere e stare sul bordo della sedia dalla tensione? Ecco, “BlacKkKlansman” di Spike Lee, presentato in concorso al Festival di Cannes 2018, rientra nella categoria!
Oltre tutto riesce nell’impresa di coinvolgere lo spettatore dall’inizio alla fine raccontando una storia vera, quella di Ron Stallworth, poliziotto nero infiltrato nel Ku Klux Klan alla fine degli anni ’70, che il poliziotto, ormai in pensione, ha raccontato nel libro autobiografico “Black Klansman”.
Quel che rende il film memorabile è un insieme di fattori, tra cui la geniale regia di Spike Lee, che ha collegato la storia alle vicende di razzismo attuali, confezionando quindi una pellicola politica e schierata ma allo stesso tempo dinamica e, sì, persino divertente.
L’impegno politico e sociale del regista non è una novità, e infatti in conferenza stampa non ha deluso le attese, criticando in modo colorito i leader mondiali, soprattutto il presidente americano Donald Trump – di cui non ha mai pronunciato il nome, sostituendolo con epiteti che non staremo qui a riportare.
A proposito del linguaggio, Lee ha precisato che voleva che l’odio fosse verbalizzato nel film, per questo ha scelto di far parlare i membri del KKK nel modo in cui parlano davvero, senza addolcire la pillola – ecco il motivo delle tante parolacce e insulti verso neri, ebrei e omosessuali.
Il cast, dal canto suo, ha sfoderato una grande prova. Degni di menzione soprattutto i due Ron Stallworth, il bianco e il nero, le due facce del Ringo, Adam Driver e John David Washington. La loro alchimia, condita col giusto umorismo, ha dato vitalità alla paradossale vicenda.
Dico ‘paradossale’ perché come altro definireste un afroamericano e un ebreo che si infiltrano in un gruppo di americanissimi suprematisti bianchi e li ingannano al punto da ottenere il rispetto del grande capo?
Il grande capo è David Duke, Grand Wizard del KKK, interpretato sullo schermo egregiamente da Topher Grace, che è stato psicologicamente provato dal personaggio e ha dichiarato: “Non farei mai un ruolo del genere per nessun altro regista”.
Sostenuto da una magnifica colonna sonora, il crescendo dell’azione porta al climax come in ogni poliziesco che si rispetti, ma il vero finale del film è costituito dalle immagini dei recenti attacchi violenti contro i cittadini afroamericani, a ricordarci che l’odio razziale, qualsiasi odio razziale, è una cosa reale che provoca sofferenza e ingiustizia. Ancora oggi, nel 2018. Chapeau.