di Giulia Bacchi
“La gente vede la follia nella mia colorata vivacità e non riesce a vedere la pazzia nella sua noiosa normalità”. Ve la ricordate questa frase del Cappellaio Matto (Johnny Depp) nel film Alice in Wonderland di Tim Burton (2010)? In un certo senso, l’assurdità estremista di Lewis Carroll è precorritrice dell’attuale ondata di affetto popolare nei confronti di tutto ciò che è considerato ‘alternativo’. Più è anormale e fuori dal comune, più ci piace.
Ne è la dimostrazione il successo planetario di The Big Bang Theory, la serie televisiva più amata in 18 Paesi sul web e sui social del network Outbrain, che si occupa della distribuzione di contenuti digitali di grandi gruppi editoriali. Tanto per impressionarvi un po’, parliamo di una media di 9.559 visite per ogni articolo pubblicato a tema TBBT (fonte: ANSA.it).
Nel tripudio minimalistico anni ’90, la formula vincente per una serie tv di successo era il conformismo più rassicurante e patinato – pensiamo a Dawson’s Creek, Beverly Hills 90210 o Friends – con personaggi che, più che realistici, imitavano una quotidianità permeata da una bellezza plastificata e da un buonismo da favola.
Oggi la ruota comincia a girare. Noi, spettatori ultra-tecnologici, abituati a un overload di informazioni tale che ormai il caos sensoriale e l’anarchia informativa sono per noi banale routine, non ne possiamo più di tutta questa perfezione. Cerchiamo una fuga dalla normalità, dal già visto, dal quotidiano: insomma, dalla noia della perfetta routine e delle personalità impeccabili.
The Big Bang Theory, sitcom statunitense ideata da Chuck Lorre (Dharma & Greg, Due uomini e mezzo) e Bill Prady (Una mamma per amica, Star Trek: Voyager) iniziata nel 2007 e arrivata ormai all’ottava stagione, strizza l’occhio alla nostra moderna tendenza verso l’alternativo. Ci mostra con frizzantissima ironia che anche ciò che non è comunemente considerato come ‘normale’ – preferire la compagnia di un pc a un’uscita in discoteca, venerare uno scienziato al posto di un’attrice, passare quindici ore chiusi in un laboratorio – non solo può essere universalmente accettabile, ma anche cool. E, soprattutto, umano.
Dieci anni fa, Sheldon Cooper, Leonard Hofstadter, Howard Wolowitz e Raj Koothrappali sarebbero stati solo un gruppetto di sfigatelli poco etichettabili (e quindi derisibili), utili giusto a inscenare qualche parentesi umoristica di spalla al Dylan McKay o al Pacey Witter di turno. Gente che una come Penny non si sarebbe mai filata nemmeno di striscio.
Oggi, non ridiamo più di loro, ma con loro. Oggi, sono loro gli eroi dei ragazzi e perfino l’oggetto del desiderio delle ragazze – difficile ammetterlo, ma chi rifiuterebbe davvero un appuntamento con Sheldon, anche solo per ascoltare per ore le sue assurde idiosincrasie? Perché il messaggio che TBBT manda è proprio questo: strano può essere figo. Poco importa se, alla base, c’è qualche piccola psicopatologia (giusto un pelo di misantropia, misoginia, agorafobia…): la verità è che non c’è niente di più sexy di una risata vera, che viene dal cuore.
Resta da vedere se lo spettatore che ama questa serie è in grado di abbracciare l’alternativo anche fuori, nella vita reale. Se è lo stesso che difende il compagno di scuola secchione dalle prese in giro; che davanti a un’ingiustizia verso un collega omosessuale non resta in silenzio; che è in grado di innamorarsi di una ragazza per la sua intelligenza; che preferisce aiutare un amico piuttosto che competere con lui.
Forse chiedere questo tipo di coraggio da un’intelligente ma pur semplice serie tv è un po’ eccessivo.
Ma sapete una cosa? Anche Il secondo sesso di Simone de Beauvoir era solo un saggio. Eppure scatenò una vera e propria rivoluzione femminista. Magari Sheldon Cooper non avrà proprio il physique du rôle del rivoluzionario. Eppure, se essere giovani, studiosi, intelligenti e soprattutto accettati dagli altri, oggi è più possibile che in passato, sospettiamo che un po’ del merito sia suo e del suo, nerdissimo, anticonformismo.