Un film di James Bobin. Con Johnny Depp, Anne Hathaway, Mia Wasikowska, Helena Bonham Carter, Sacha Baron Cohen. Fantastico, 108’. 2016
A ben sei anni dal primo episodio della duologia – “Alice in Wonderland”, diretto da Tim Burton, è uscito al cinema nel 2010 – torniamo nel Paese delle Meraviglie (o Sottomondo, che dir si voglia) in compagnia della giovane Alice e dei personaggi che abbiamo imparato a conoscere e apprezzare.
Sfatiamo per una volta il mito che sequel e prequel siano sempre peggiori dei film che li hanno preceduti, che risultino piatti, sbiaditi, pallidi rispetto alle pellicole originarie. In questo caso, personalmente, credo che valga il discorso inverso. “Alice in Wonderland” mi aveva sì colpito per alcune caratteristiche – l’atmosfera onirica ma dark, le musiche incalzanti, le nuove sfumature date ai personaggi – ma lo avevo anche trovato eccessivamente lungo, con la storia che arrancava non poco, soprattutto sul finale.
“Alice attraverso lo specchio” sarà anche meno spaventoso e più politically correct, più fiabesco e meno horror – si avverte in più di un’occasione il cambio alla regia – però ho trovato che scorra molto meglio, che permetta allo spettatore di arrivare alla fine senza chiedersi mai: “Ma quanto manca?”.
Dopo aver sconfitto lo spaventoso Ciciarampa e la malvagia Regina Rossa (Helena Bonham Carter) e aver riportato sul trono la sovrana legittima – o almeno così crediamo -, l’eterea Mirana (Anne Hathaway), Alice (Mia Wasikowska) è tornata a casa pronta a prendere anche la sua vita vera in mano. E così ha fatto, diventando un capitano impavido di vascello e solcando i mari.
Ma la tranquillità dura ben poco, perché la comparsa del Brucaliffo la spingerà a prendere di nuovo la via del Sottomondo, attraversando questa volta uno specchio magico, per salvare il Cappellaio Matto (Jhonny Depp) da se stesso e dagli spettri del suo tormentato passato.
Uno dei lati più interessanti del film di James Bobin, per assurdo, è l’assenza di un villain vero e proprio. È vero che il Tempo interpretato magistralmente da Sacha Baron Cohen ci appare inizialmente come un antagonista, pronto a mettersi sulle tracce della nostra eroina per riprendere quello che lei ha sottratto, ma ci rendiamo conto subito che il suo desiderio di riavere ciò che è stato tolto non è egoistico o malvagio. Il Tempo è, per certi versi, il vero “buono” di questa storia, perché solo se la Cronosfera tornerà al suo posto il Sottomondo potrà sopravvivere all’annientamento totale.
In questo ribaltamento di prospettiva – chi sono i cattivi? Chi sono i buoni? E i cattivi sono tali da sempre, oppure qualcosa li ha resi ciò che sono? – si inserisce anche la sotto-trama della Regina Rossa e della Regina Bianca, alias Iracebeth e Mirana. Bambine e principesse tutto sommato felici e affiatate alla corte di mamma e papà a Saggezzilandia, un episodio piccolo, insignificante, per certi versi, cambia le cose per sempre.
E allora, dopo aver visto com’è che è andata, non è che proviamo proprio simpatia per la “Capocciona maledetta” – anche alla luce di quello che ha fatto alla famiglia del Cappellaio, al clan Altocilindro, l’empatia è un tantino complicata – però la comprendiamo un po’ di più. E non le diamo la colpa di tutto, solo delle sue azioni presenti, ma del passato…
Perché alla fine è questo il messaggio – un po’ troppo da favola di Esopo? Lascio decidere a voi – che emerge da “Alice attraverso lo specchio”, e che sottolinea il Tempo a più riprese: il passato non si può cambiare, ma da ciò che è stato si può imparare qualcosa. A non ripetere gli stessi errori, magari, oppure a guardare le cose da una prospettiva diversa, alla luce di quello che è successo.
Alice lo fa, e naturalmente salva sul filo di lana il Cappellaio, il Sottomondo intero con tutti i suoi abitanti, e anche la sua vita nel mondo reale. D’altra parte, si tratta pur sempre di una fiaba.