Un film di Adrian Lyne. Con Ben Affleck, Ana de Armas, Rachel Blanchard, Tracy Letts, Lil Rel Howery. Thriller, 153′. USA 2022
Vic e Melinda Van Allen sono sposati da tempo, hanno una casa grande e una bellissima figlia, Trixie. D’altronde bellissima, anzi da mozzare il fiato, è anche Melinda, donna splendida ma irrequieta, tanto che nel vincolo matrimoniale proprio non ci riesce a stare, e sceglie così amanti belli e giovani con cui passare nottate di sesso e alcol. Momenti che Melinda sadicamente non nasconde a Vic: invita i suoi amanti a casa, li stuzzica a cena davanti al marito, infine non esita a lasciare le porte socchiuse poco prima di iniziare a divertirsi con loro. Un gioco la cui parte più dilettevole per Melinda è proprio mettere Vic a conoscenza di tutto, umiliandolo. Gioco che però si rivela pian piano sempre più pericoloso.
Ho grande rispetto e stima per il regista Adrian Lyne, che ci ha regalato pellicole iconiche come “Nove settimane e mezzo”, “Proposta indecente”, “L’amore infedele”, rendendo il genere erotico autoriale, elegante e sofisticato.
Ma, dopo vent’anni, tornare dietro la macchina da presa per realizzare “Acque profonde”, disponibile su Prime Video dal 18 marzo, è oggettivamente una caduta di stile, un netto autogol.
“Acqua profonde” è noioso, lento, vecchio, tutto il contrario del thriller ad alto tasso erotico che l’abile ufficio stampa ha presentato in questi mesi su giornali e social.
Nonostante la bellezza sfolgorante di Ana de Armas, il film sembra incapace di trasmettere una qualsivoglia emozione. La sceneggiatura è banale, insulsa. Il gioco di specchi, la seduzione e le provocazioni continue tra i due coniugi Vic e Melinda appare stucchevole, freddo.
“Acqua profonde” dovrebbe raccontare un vulcano di emozioni e travagli sentimentali che covano sotto la cenere, mettere in scena la rappresentazione di un’ira fredda e spietata e sviluppare anche il tema di un amore tossico e di un rapporto malato di dipendenza.
Eppure di tutto questo nella sceneggiatura e nella messa in scena non c’è traccia. E il film, scena dopo scena, assume piuttosto i contorni di una commedia grottesca o della pantomima di un thriller erotico.
Anche il tema della gelosia repressa e spietata, che Ben Affleck dovrebbe incarnare riscrivendo, per certi versi, la figura dell’Otello shakespeariano, è sviluppato in modo oggettivamente fallimentare. Affleck ci prova con tutto se stesso a esprimere con i silenzi e con lo sguardo perennemente corrucciato il proprio inferno interiore, ma ottiene il risultato opposto.
Lo spettatore, insomma, sprofonda, suo malgrado, nelle “acque profonde” della noia e dell’irritazione durante la visione, e viene salvato, solamente a tratti, dal sorriso magnetico e dalla presenza scenica di Ana de Armas, unico elemento positivo di un film altrimenti dimenticabile e senza senso.