5 domande al videomaker e regista Cristian Tomassini

"Il demone dell'acqua", l'avventura della casa di produzione Indivision, lo stato del cinema italiano

Cristian Tomassini, classe 1985, ha iniziato l’attività di videomaker dopo la laurea in Comunicazione, producendo inizialmente video industriali, spot, grafiche animate e videoclip musicali. Insieme a Marco Businaro ha fondato la casa di produzione Anima Film; con un gruppo di colleghi registi padovani, la Indivision, per produrre e promuovere il cinema indipendente.

Tra i suoi lavori, il mediometraggio “Crisi” (2010), la serie “Onyros” (2016) e “Il demone dell’acqua” (2017), presentato all’ultimo Trieste Science+Fiction Festival, un cortometraggio che affronta il delicato tema dell’immigrazione in un’inusuale prospettiva sci-fi.

Apriamo con questo trentaduenne brillante e creativo la nuova serie di interviste “5 domande a…”, che ci porteranno a conoscere meglio attori, registi, ma anche scrittori, illustratori, blogger.

 

1. Nel tuo cortometraggio, “Il demone dell’acqua”, parli di immigrazione in chiave onirica e sci-fi. Perché questa scelta?

Io credo che la metafora sia la via migliore per parlare di qualcosa senza banalizzarlo, così da lasciare spazio all’immaginazione di chi osserva e far sì che possa interpretare ciò che vede in piena libertà. Il cinema di genere è una chiave utilissima per questo processo, basti pensare a quello che hanno rappresentato film – che banalmente potrebbero essere definiti zombie movie – come “Dawn of the dead” di Romero o “Videodrome” di Cronemberg. La fantascienza, l’horror, offrono tutti e due occasioni metaforiche perfette per rappresentare la realtà in cui viviamo. Per questo ho scelto il genere fantascientifico. Per quanto riguarda invece l’elemento onirico, alla fine il cinema è fatto di sogni no?!

Cristian Tomassini sul set de “Il demone dell’acqua”.

2. Quali sono state le maggiori difficoltà di realizzazione di questo progetto? Sul versante economico, quanto è limitante voler fare progetti innovativi in Italia rispetto che in altri Paesi del mondo?

Credo che una delle cose più complesse, nel cinema indipendente, sia il fattore umano – è un miracolo riuscire a coinvolgere la moltitudine di persone che serve per realizzare un film potendo contare su fondi scarsi o inesistenti. Facendoci forza solamente con la nostra passione e credendo nel progetto, noi di Indivision siamo riusciti a realizzare qualcosa di grandioso. Questa è la premessa. Dopodiché, per “Il demone dell’acqua” le difficoltà tecniche e logistiche sono state enormi. Non avevamo idea di come rendere il continuo scorrere dell’acqua nel film, per esempio, non c’era budget. Lo scenografo Tommaso Luzi ha risolto, ideando a una serie di congegni e pompe. La ricerca dei costumi e degli oggetti di scena anche è stata complessa – per il protagonista volevo un mix di abiti militari che dovevano rappresentare tutti gli eserciti europei. E che dire della scrittura del cortometraggio – sarebbe bastata una falla per rendere tutto ridicolo. Se non è successo devo ringraziare il mio co-sceneggiatore, Silvio Marotta. Per quanto riguarda l’argomento economia-Italia, il cinema in Italia non è un’industria, questo è il problema. Negli Stati Uniti lo è da anni, in Inghilterra anche. Ma in Italia no. Se cambiasse la concezione del cinema, se iniziassimo a considerarlo una macchina per produrre e guadagnare, un po’ come l’imprenditore medio considera un nuovo tornio a controllo numerico, be’… avremmo fatto tombola! Il cinema può portare guadagno, se si punta su innovazione e nuove idee. Anche perché il pubblico credo sia un po’ stanco dell’ennesimo “Natale ai Caraibi”.

Foto dal set del cortometraggio “Il demone dell’acqua”.

3. Per valorizzare il cinema indipendente hai fondato con alcuni colleghi padovani l’associazione Indivision. Pensi che il proverbio “l’unione fa la forza” sia valido anche nel mondo del cinema, tanto permeato da ego- centrismo e narcisismo?

Se in una scena cinematografica come quella italiana non fai squadra, non fai nulla. Questo non significa fare cartello e mettersi contro gli altri, significa aprirsi e fare rete. Il bello delle case di produzione indipendenti come Indivision, e delle produzioni di questo tipo, è che alla fine delle riprese si diventa una famiglia. Tutti contano alla stessa maniera. Indivision è una realtà fantastica, siamo ormai una trentina di persone nel padovano (ma anche in provincia di Treviso e Vicenza), e abbiamo una forza e una passione che ci unisce tantissimo.

4. Abbiamo letto che il tuo sogno è ambientare uno slasher movie nelle campagne venete, ma che l’idea di un lungometraggio è inavvicinabile. Se tu avessi 5’ a disposizione con un grande produttore, cosa diresti per promuovere la tua idea? Cosa c’è nell’estetica e nell’idea di cinema di Cristian Tomassini che merita un investimento importante?

Nulla, non fatelo! No, a parte gli scherzi secondo me se c’è un idea di cinema diversa, fresca e se non altro non scontata vale la pena scommetterci. Indipendentemente che l’idea sia mia o di qualsiasi altro. Comunque personalmente sono stanco dell’Italia delle commedie frivole e dei film drammatici, ci vogliono un po’ di coglioni – scusate il francesismo! -, di cose che facciano dire “che figata!” alla gente che paga il biglietto. Se il pubblico giovane snobba i film italiani è perché li considera noiosi, non perché è ignorante e non capisce il cinema di livello.

Foto dal set del cortometraggio “Il demone dell’acqua”.

5. Appassionato di horror, come valuti la situazione di questo genere in Italia? Ha perso smalto e credibilità per colpa di cattivi investimenti, idee poco originali o cos’altro? E credi che sia possibile portarlo di nuovo alla ribalta, magari con progetti innovativi come il tuo?

Prima o poi la creatività e l’artigianalità italiana che era propria del cinema di genere anni ‘60 e ‘70 riaffiorerà, è una questione di tempo e di limite di sopportazione. Sotto sotto, nell’ambiente underground, c’è qualcosa di fantastico che si muove, molto lentamente ok, ma piano piano verrà allo scoperto.