Dopo tre anni e quattro film, la saga di Hunger Games sta per concludersi. Inizialmente la decisione di adattare la trilogia di Suzanne Collins per il cinema non aveva riscosso grande seguito – quante volte abbiamo visto combattimenti in un futuro post-apocalittico, da Rollerball a Battle Royale? – e il fatto di scritturare attori giovani, pressoché sconosciuti, aveva contribuito ad accrescere lo scetticismo generale.
La combinazione di sceneggiatura, regia, attori non protagonisti magnifici e spunti di satira politica inaspettati hanno fatto sì che i film trascendessero dalla materia originaria – e la presenza di quell’attrice sconosciuta, oggi una delle stelle più brillanti di Hollywood, li hanno resi dei cult del genere.
“Il canto della rivolta – Parte 2“, capitolo finale della serie, arriverà nelle sale italiane il 19 novembre. Riprendendo un pezzo di TimeOut, ecco 10 motivi per non perdersi l’epilogo della storia.
1. Jennifer Lawrence
L’eroina della serie, Katniss Everdeen, è il tipo di personaggio che ogni giovane attrice avrebbe sognato di interpretare: forte ma vulnerabile, con una morale deformata dalla società in cui è nata e il cuore diviso tra due pretendenti. Con un’interprete meno capace, sarebbe stato il ruolo a definire l’attrice. Con Jennifer Lawrence è successo il contrario. Sceneggiatori e autrice sono d’accordo: è questa performance che rende Katniss reale, con le sue paure, i dubbi, i momenti di trionfo e di rimpianto che si susseguono sul volto della Lawrence in ogni scena. Questo ultimo film le dà davvero modo di fare il salto di qualità, e lei non delude.
2. Francis Lawrence
No, non si tratta del padre di Jennifer, ma del regista degli ultimi tre film della serie. Il suo curriculum prima di questa esperienza era quanto meno variegato: dall’adattamento del fumetto Constantine, all’apocalisse zombie di Io sono leggenda fino al romantico Acqua per gli elefanti. Ma con la saga di Hunger Games ha scoperto la sua vera vocazione, e l’ultimo capitolo è senza dubbio il suo lavoro migliore. Qui si dimostra un grande regista, capace di gestire scene d’azione pura come quella del tunnel (su cui torneremo tra un attimo) ma anche di abbassare i ritmi e concentrarsi sui personaggi.
3. La scena del tunnel
Probabilmente una delle scene d’azione migliore dell’intera serie. Mentre si fanno strada verso Capital, una città disseminata di trappole e campi minati, i nostri eroi decidono che muoversi sottoterra sarà più sicuro. Grosso errore… Non vogliamo anticiparvi troppo, diciamo solo che la scena in questione tocca picchi di intensità da far invidia a molti horror – chiaro il richiamo a film cult come Aliens e The Descent –, ma al contempo dà a chi guarda una botta di adrenalina non da poco. E la Lawrence può dar prova di tutte le sue capacità con arco e frecce.
4. I colpi di scena
Se non avete letto il libro, probabilmente vi siederete in sala aspettandovi un finale strepitoso, per questa saga – magari Katniss in piedi sulle rovine di Capital City che scocca una freccia dritta al cuore del Presidente Snow. Ma questo film è molto più profondo, oscuro e toccante di così. Preparatevi quindi a venire stupiti non una, non due, ma volte volte. La storia alla fine diventa davvero imprevedibile, persino snervante da vedere.
5. La politica
Hunger Games ha fatto esprimere diversi commenti politici, espliciti e tempestivi: tutta la serie si gioca sulla contrapposizione tra potenti prevaricatori e povera gente costretta a subire, con i più giovani a fare la parte delle vittime sacrificali. Il canto della rivolta – Parte 2, approfondisce il tutto, esplorando ad esempio l’idea di ribellione armata. Un comandante di plotone eroico, il Gale interpretato da Liam Hemsworth, si troverà su un territorio estremamente scivoloso dal punto di vista morale e questo servirà ad affrontare il tema dell’inevitabile corruzione che il potere porta con sé. Per certi versi potremmo considerare questo il primo colossal ispirato all’Isis, un film che obbliga il pubblico a mettere in discussione il significato stesso dell’essere un rivoluzionario o un ribelle, e a domandarsi chi siano davvero i buoni e chi i cattivi, quando due schieramenti si fronteggiano armati fino ai denti e nessuno ha paura di mietere vittime innocenti.
6. La desolazione
Come abbiamo già sottolineato, il finale non è l’ascesa trionfante che potremmo immaginare. E non avrebbe mai potuto esserlo, a pensarci bene. Hunger Games è una storia di bambini che uccidono altri bambini, che si trasforma poco a poco in una ribellione violenta contro una società oppressiva. Un lieto fine è mai stato possibile per una storia così? Ma l’oscurità di questo capitolo conclusivo coglie comunque di sorpresa: invece di una scena di battaglia, la pellicola culmina con un atto di violenza che probabilmente non ha eguali nei kolossal degli ultimi anni e che porta a una conclusione fredda, spietata, terribilmente credibile. Certo si tratta di un finale potente e sensato, per questa serie. Ma state pronti a non passare un bel quarto d’ora.
7. Un guizzo inaspettato in Josh Hutcherson
Stare dalla parte di Peeta, giunti a questo punto, non è facile. Paragonato a Gale, che ormai è un guerriero fatto e finito, il figlio del fornaio sembra sempre subdolo e antipatico – e andare in video a difendere Capitol, nel film precedente, non ha giovato alla sua popolarità. Il fatto di aver scelto Josh Hutcherson per il ruolo non ha aiutato: qui, a differenza di Jennifer/Katniss, abbiamo un personaggio poco simpatico interpretato da un attore poco simpatico. Be’, in questo film Hutcherson mostra di avere un grande talento: dalla vittima di torture a cui è stato fatto il lavaggio del cervello fino al ritorno alla ragione, la sua performance è molto convincente.
8. La possibilità di dire addio a Philip Seymour Hoffman
Uno dei primi volti che si vedono in “Il canto della rivolta – Parte 2” appartiene al compianto Philip Seymour Hoffman, scomparso lo scorso anno per un’overdose. Hoffman non aveva ancora finito di girare tutte le sue scene, quando è morto, e questo viene fuori alla fine, quando viene inserito grazie al digitale e altri attori pronunciano le sue battute. Qualcuno potrebbe pensare che una maxi produzione come questa non sia la sede adatta per l’ultimo saluto a un performer di talento come Hoffman, ma noi non siamo d’accordo: si tratta di una pellicola sobria e che spinge alla riflessione, e quelle del suo personaggio sono parole di speranza in mezzo alla tragedia.
9. Accettiamolo: l’intero cast è eccezionale
Fin dal primo film, Hunger Games ha potuto contare su attori non protagonisti magnifici. Quasi tutti tornano nel finale, compresi Stanley Tucci nel ruolo del presentatore tv Caesar Flickerman, Julianne Moore in quello della gelida leader dei ribelli Alma Coin e Jena Malone alias la tormentata, rasata a zero Johanna Mason. Nessuno di loro compare per molto tempo – ci sono così tanti personaggi in lotta per uno spazio che non è una sorpresa – ma ciascuno sfrutta questi ritagli al massimo: una scena di non più di cinque secondi tra Woody Harrelson/Haymitch ed Elizabeth Banks/Effie ha tanta emozione quanto il resto del film.
10. La morale della storia
Sul finire del film, “Il canto della rivolta” smette di raccontare una storia e inizia a predicare – un’idea rischiosa, ma che in qualche modo qui funziona. Perché per quante battaglie sanguinose si siano succedute, e per quanto Katniss sia stata portata al centro della scena come eroina della rivolta, si tratta sempre della storia di una comunità, di persone che vivono insieme. Ed è proprio questo quello che emerge alla fine: il mondo può essere un incubo violento e incasinato – non solo quello mostrato al cinema – ma se tieni strette le persone di cui ti fidi, alla fine starai bene. E questo è un messaggio che possiamo assolutamente fare nostro.