Garantire il futuro della specie. Essere autori della propria storia. Sono queste i due macro-temi che dominano la seconda stagione di “Westworld”, serie ideata da Jonathan Nolan e Lisa Joy, e che trovano conferma anche nel finale di stagione, dove tutti sembrano essere sacrificabili per perseguire un fine più alto.
Sebbene avessimo intuito che gli eventi si sarebbero conclusi con una circolarità narrativa, le storyline dei vari personaggi hanno incontrato tantissimi ostacoli lungo il loro percorso, non sempre efficace.
A cambiare è anche la reazione del pubblico di fronte alla storia, il suo modo di rapportarsi con ciò che vede. Nella prima stagione ci trovavamo di fronte a moltissimi dubbi narrativi stimolanti, che generavano un rapporto molto onesto tra spettatore e prodotto; in questo caso, invece, la sceneggiatura crea incertezze nella narrazione e questo provoca più fastidio e spaesamento che dibattito.
Oltre a tantissime cadute di stile, in particolar modo nella storia di Maeve, la seconda stagione procede in modo molto lento, inserendo una moltitudine di spunti potenzialmente intriganti in un contesto confuso.
Dolores, Teddy, Bernard e gli altri restano personaggi molto affascinanti, complessi quanto a caratterizzazione. Sono le strade che percorrono a risultare spesso forzate, ricche di artifici superflui che non fanno che aggiungere dettagli a un discorso già chiaro di per sé.
“Westworld” continua comunque a essere visivamente bellissima, non stancando mai lo spettatore neppure nel suo inserire nella sceneggiatura riflessioni impegnate.
Sull’introduzione dei nuovi scenari a tema non c’è purtroppo molto da dire. The Raj (parco 6 delle Delos Destination) e Shogun world (parco 2) risultano infatti insignificanti nell’economia della narrazione, teoricamente bellissimi ma inutili.
Con “The Passenger”, puntata ricca di riferimenti biblici, si chiude questa seconda stagione che non ha convinto il pubblico e la critica tanto quanto la prima. Ricollegandoci a quanto scritto dopo i primi 5 episodi (qui la recensione), i nuovi archi narrativi non sono riusciti a far dimenticare i difetti della serie ma solo ad accentuarli.
Possiamo solo augurarci che nella terza stagione “Westworld” riesca a ricomporre il quadro, inserendo misteri e interrogativi in un quadro più organico, se non lineare quanto meno coerente e sensato. Staremo a vedere.