di Alessandra Pappalardo
Un film di Annemarie Jacir. Con Mohammad Bakri, Saleh Bakri, Maria Zreik, Tarik Kopty, Monera Shehadeh. Drammatico, 96′. Palestina, 2017
Abu Shadi, 65 anni, divorziato, professore a Nazareth, prepara il matrimonio di sua figlia. Shadi, suo figlio, architetto a Roma da anni, rientra qualche giorno per aiutarlo a distribuire a mano, uno per uno, gli inviti del matrimonio come vuole la tradizione palestinese del “wajib”. Tra una visita e l’altra, le vecchie tensioni tra padre e figlio ritornano a galla in una sfida costante tra due diverse visioni della vita.
Annemarie Jacir – prima donna palestinese a dirigere un film (Il sale di questo mare) – al suo terzo lungometraggio, “Wajib – Invito al matrimonio”, tratteggia un road movie dai toni delicati ma incisivi allo stesso tempo.
Abu Shadi, un professore divorziato che vive a Nazareth, sta organizzando il matrimonio di sua figlia e, come vuole la tradizione palestinese, deve consegnare gli inviti di persona, accompagnato dal figlio maschio. Il figlio Shadi è architetto e vive a Roma ormai da molti anni, e non sente alcun legame con la sua terra natia. Il matrimonio della sorella Amal lo costringerà a tornare.
Il divario generazionale tra padre e figlio viene utilizzato per mostrare, in senso più ampio, tutte le difficoltà e le contraddizioni di Nazareth e dei palestinesi che vi abitano, cittadini dello Stato di Israele solo di nome.
Abu Shadi rappresenta lo status quo, la rassegnazione nei confronti di una quotidianità fatta di molti compromessi, in cui è difficile far sentire la propria voce e far valere i propri diritti. Shadi è invece la voce rivoluzionaria, la gioventù che ha visto e vissuto altro e che irrompe portando rottura rispetto alla tradizione.
Quello che li accomuna, nonostante tutto, è un passato fatto di ricordi, un passato che ritorna attraverso le note di una canzone che riporta indietro il tempo e attenua le discussioni e i risentimenti.
Mohammed e Saleh Bakri, padre e figlio nella realtà oltre che nella finzione cinematografica, riescono a fornire spessore narrativo alla vicenda, dando voce alla Nazareth dimenticata e oppressa.