“Una luna chiamata Europa”: tra fantascienza e realismo crudo

Al suo settimo film Kornél Mundruczó affronta tematiche delicate e attualissime, con sguardo acuto

di Gianluca D’Alessandro

 

Un film di Kornél Mundruczó. Con Merab Ninidze, Zsombor Jéger, György Cserhalmi, Mónika Balsai, Andras Balint. Drammatico, 100′. Ungheria, Germania 2017

Il giovane immigrato Aryan viene ferito mentre attraversa illegalmente il confine ungherese. Terrorizzato e in stato di shock, capisce di aver acquisito il potere di levitare a comando. Costretto a entrare in un campo di profughi, verrà notato dal dottor Stern, un medico che vorrebbe trovare un modo per sfruttare il suo straordinario segreto.

 

Dopo sette film Kornél Mundruczó non è un più un regista emergente. Il suo percorso dai forti connotati religiosi iniziato nel 2014 con “White God”, prosegue anche nell’ultimo lavoro, “Una luna chiamata Europa”.

Partendo da un singolo personaggio, e con uno sguardo ispirato sull’attualità che non ha paura di virare verso la fantascienza, il regista costruisce un film di ampio respiro, che si basa principalmente su un trittico di elementi: denaro, fede ed Europa.

Aryan è un rifugiato siriano nell’Ungheria contemporanea, che sogna un futuro lontano dalla guerra. Durante una fuga rimane però ucciso da un’arma da fuoco… o almeno così sembra, perché i proiettili letali lo graziano, lasciandogli in dono abilità sovrumane, come quella di librarsi in aria. Il dottor Stern, incontrato in un campo profughi, vorrebbe trovare un modo per sfruttare questo dono e gli propone un accordo.

Denaro, fede ed Europa, dicevamo. Il primo muove tutto, in questo film (e nella nostra società?): ogni azione può essere comprata, in un’Europa confusa come sono anche gli stessi migranti, il protagonista prima di tutto.

Visivamente molto interessante e ricco di spunti sulla contemporaneità, “Una luna chiamata Europa” è un buon film che non spicca però mai il volo, al contrario di Aryan che domina il cielo nella scena finale, cambiando per sempre la vita delle persone sotto di lui, che acquisiscono una nuova percezione del mondo intorno.

Simile per certi versi a “I figli degli uomini” di Alfonso Cuaron, la pellicola di Mundruczó riprende idee e spunti già affrontati, in modo più consapevole, da altri, anche se comunque  risulta incisivo in alcune sequenze. Il messaggio di fondo è chiaro: solo librandosi in aria Aryan può evadere da una realtà in crisi e trascendere dal destino avverso.