“Una donna quasi perfetta”: recensione del libro di M. St. John

Garzanti pubblica il romanzo della scrittrice australiana, ambientato nell'affascinante Londra

Dopo il successo di “Le signore in nero“, uno dei casi editoriali dello scorso anno, continua il rilancio dell’opera della scrittrice australiana Madeleine St. John a opera di Garzanti. È arrivato in libreria da qualche giorno, il 25 giugno, il suo romanzo del 1996, Una donna quasi perfetta.

Londra. Attraverso le grandi finestre si scorgono sontuosi salotti, tovaglie ricamate e, immancabilmente, servizi da tè in porcellana. Intorno a quei tavolini le donne si confidano le une con le altre, si danno manforte, si studiano tra mezzi sorrisi e cenni d’intesa.

È così anche per Flora, Gillian e Lydia, tutte e tre convinte di avere una vita quasi perfetta. La prima ha un marito che ama e due splendidi bambini. La seconda ha una relazione con un uomo sposato che spera possa trasformarsi in qualcosa di più (?). Infine la terza è sicura di poter vincere la medaglia di “amica dell’anno” (??). Quando le loro strade si incrociano, però, capiscono che non sempre le cose vanno come si desidera: è il momento di scegliere che persone vogliono essere, che tipo di donna vogliono diventare.

Devo dire che “Una donna quasi perfetta” – lettura agile, che si conclude in poche ore – mi ha lasciata abbastanza perplessa… Prima di tutto la sinossi non rispecchia quasi per niente quello che poi uno si trova effettivamente davanti. Floria, Gillian e Lydia interagiscono pochissimo tra loro – anzi, Gillian con le altre due fisicamente per niente! -, non costruiscono nessuna amicizia particolare o altro. Dalla sinossi immaginavo che le tre insieme sarebbero state il cuore della storia, invece non è così.

Dal mio punto di vista il vero protagonista – quello che vediamo evolversi e sbagliare, quello di cui finiamo per conoscere bene pensieri e mentalità – è Simon, il marito di Flora (alla faccia del romanzo al femminile, tra parentesi). È lui il filo conduttore di queste pagine, il motore che fa muovere la trama. Tutto il resto, purtroppo, ha la consistenza di un mero contorno o riempitivo.

Il personaggio di Flora, moglie e madre “perfetta”, che vive una sorta di illuminazione religiosa, viene abbastanza sviluppato, ha una sua coerenza (per quanto risulti stereotipato) e coincide con quello che ci viene presentato, ma quelli delle altre due no.

Gillian e Lydia compaiono poco, e non hanno alcuna evoluzione. Non mi è sembrato nemmeno che la prima volesse qualcosa di più dall’amante e la seconda si sforzasse chissà quanto di essere una grande amica, come invece recita la sinossi. Sono personaggi secondari, di cui al lettore finisce per importare pochissimo (di Lydia oggettivamente non sappiamo quasi niente).

Personalmente credo che “Una donna quasi perfetta” non dia il meglio sotto forma di romanzo ma sarebbe invece una buona pièce teatrale. Per come è costruita e sviluppata la trama, per come si conclude la storia, e soprattutto per i dialoghi – didascalici, botta e risposta, “parlati” – avrebbe il suo perché su un palcoscenico.