“Un’altra vita – Mug”: una crisi d’identità nella Polonia rurale

Malgorzata Szumowska dirige un film stilisticamente coraggioso, che fa porre molte domande

Un film di Malgorzata Szumowska. Con Mateusz Kosciukiewicz, Agnieszka Podsiadlik,  Malgorzata Gorol, Anna Tomaszewska, Dariusz Chojnacki. Drammatico, 91′. Polonia 2018

Jacek ama l’heavy metal e il suo cane. Si diverte ad attraversare le strade di campagna come se fossero piste da corsa e a giocare la parte del tipo alternativo in un tradizionale villaggio della Polonia. Jacek lavora in un cantiere vicino alla frontiera polacco-tedesca dove verrà costruita la più grande statua di Gesù al mondo, che deve competere con quella di Rio de Janeiro. Tuttavia poco dopo aver chiesto la mano alla sua fidanzata Dagmara con cui progettava un futuro insieme, un terribile incidente al lavoro gli sfigura completamente il viso e gli stravolge la vita. Assediato dalla stampa polacca, Jacek diventa il primo caso nel Paese di trapianto alla faccia. La gente lo festeggia come eroe nazionale e martire del lavoro, ma lui non riesce più a riconoscersi allo specchio. Nel frattempo la statua di Gesù diventa sempre più alta.

 

Un film che spinge alla riflessione, alla comprensione, a porsi più di una domanda. Un film che porta a ridere in situazioni grottesche, ironiche e ciniche, in un’atmosfera spesso surreale eppure realistica. “Un’altra vita – Mug” di Malgorzata Szumowska è sicuramente una pellicola che graffia, schernisce e sorprende.

Da segnalare – per come la vedo io in senso negativo – la tecnica di messa a fuoco usata per spingere chi guarda a concentrarsi su più di un particolare allo stesso tempo. Un personaggio in primo piano, un oggetto in secondo e lo sfondo, lontano, sono messi tutti a fuoco, mentre i bordi risultano sfocatissimi.

Teoricamente questo dovrebbe far sì che il nostro occhio si muova liberamente, fin dove vuole lui. Io ho trovato la tecnica fastidiosa, limitante e costringente. Da apprezzare il coraggio della scelta – anche se non si tratta di una novità in senso assoluto.

Tutto diventa chiaro dopo l’incidente. Perché, paradossalmente, è da quel momento che il protagonista Jacek compie un percorso di messa a fuoco, si concentra sempre più su di sé e realizza che per lui può esserci un solo finale.

La sceneggiatura è leggera, graffiante, semplice, a tratti anche un po’ banale. Non sorprende particolarmente ma lascia abbastanza soddisfatti. Incredibile l’ambientazione, con questo paesino polacco che quasi si culla all’internod el paesaggio.

La regia di Malgorzata Szumowska è misurata, lineare, si concentra sul personaggio di Jacek per affrontare una tematica universale: le sofferenze della condizione umana.