“Trouble no more”: Bob Dylan nel periodo della rinascita cristiana

Jennifer Lebeau dirige un docufilm che alterna performance e materiale d'archivio a parti recitate

di Luciaconcetta Vincelli

 

Un film di Jennifer Lebeau. Con Mary Elizabeth Bridges, Tim Drummond, Bob Dylan, Gwen Evans, Jim Keltner. Documentario, 59′. USA, 2017

Come ogni altro episodio nella vita di Bob Dylan, anche il periodo della sua “rinascita” cristiana, che presumibilmente iniziò con la pubblicazione del disco “Slow Train Coming” (1979) per finire con “Shot of Love” (1981), è stata analizzata all’infinito dalla stampa. Minore attenzione è stata data alla musica che Dylan realizzò in quel periodo. Questo film è composto da alcuni elettrizzanti filmati ripresi durante gli show della seconda parte del tour di Dylan del ’79-’80 (con una straordinaria band composta dal veterano dei Muscle Shoals Spooner Oldham alle tastiere, Fred Tackett dei Little Feat alla chitarra, Tim Drummond al basso e Jim Keltner alla batteria) intervallati da sermoni scritti da Luc Sante e declamati da Michael Shannon.

 

Sono molto delusa, ammise una fan al termine di un concerto del ’79 di Bob Dylan e così continuerebbe ad affermare oggi, uscendo dalla sala dopo la proiezione di “Trouble no more”, documentario di Jennifer Leabeau.

Concentrato esclusivamente sul periodo della conversione religiosa del cantautore Premio Nobel, in un’ottica inedita, riscoperta come i video dei live restaurati di cui si avvale, il film delude per aver sprecato l’occasione, il materiale e la partecipazione dell’attore Michael Shannon.

Il tema non era semplice, come afferma lo scrittore Steve Turner: “Niente garantisce più disprezzo nei circoli rock ‘n’ roll che abbracciare la fede in Cristo. Voglio dire, paghiamo questi ragazzi per visitare l’inferno e riportarci le diapositive a colori, e qui vanno a scivolare in cielo. È una grave violazione del contratto”.

L’attore Michael Shannon interpreta le convinzioni religione di Bob Dylan nel docufilm “Trouble no more”. (2017)

Tutto nasce nel 1978, quando Dylan entra nella Vineyard Fellowship, una chiesa evangelica, per seguire un corso di studi biblici. La perdizione, dal punto di vista del rock ‘n ‘roll, produce la cosiddetta “trilogia cristiana”, gli album Slow Train Coming (’79), Saved (’80) e Shot of Love (’81).

Ma il disappointment risiede nella modalità di trattamento della materia, che si annunciava inizialmente geniale: i testi e le performance di Dylan vengono fatte dialogare con le sue convinzioni religiose, interpretate da Shannon in ardenti sermoni nella penombra di una chiesa anglicana. La genialità di questa giustapposizione viene poi disattesa, svilita in una tautologia priva di variazioni, allietata solo dai filmati restaurati degli show a Toronto e durante il Buffalo Tour del ’79.

Impossibile resistere, però, al live di “Gotta Serve Somebody”, con cui Dylan si aggiudicò un Grammy Award per la miglior performance vocale maschile rock dell’anno, e che Nick Cave descrive così: “Quel trascinarsi predatorio dell’apertura, le liriche intrecciate, la voce logora e seducente, l’immensa mancanza di misericordia pelosa nel suo messaggio, il senso di agonia del tutto. Mi trovavo in un bar, l’avevo ascoltata al jukebox e mi guardai in giro, domandandomi come mai le vite di tutti i presenti non fossero state immediatamente cambiate da quell’ascolto”.

Facile giocare così, ma anche necessario. Nella “maledizione” di questa parte di produzione dylaniana occorreva, forse, accendere un ultimo riflettore sulla vasta e immaginifica poetica del cantautore che, al di là di declinazioni religiose, risentono comunque di convinzioni artistiche e soprattutto umane. E lanciano un solo messaggio: alla fine, dovremmo essere tutti un po’ più fools.

But it sure do bother me to see my loved ones
turning into puppets,
There’s a slow, slow train comin’
up around the bend.