“Titane”: sesso, violenza e musica rombante in una raffica da incubo

Il nuovo film di Julia Ducournau, Palma d'oro a Cannes, è una favola nera di carne e metallo

Un film di Julia Ducournau. Con Vincent Lindon, Agathe Rousselle, Dominique Frot, Myriem Akheddiou, Théo Hellermann. Drammatico, 108′. Francia, Belgio 2021 

Alexia ha una placca di titanio conficcata nel cranio a causa di un incidente passato. Ballerina in un “salone di automobili”, le sue performance erotiche la rendono preda facile degli uomini, che l’approcciano senza mezze misure. Ma Alexia uccide con un fermaglio chi si avvicina troppo e colleziona omicidi che la costringono a fuggire e ad assumere l’identità di un ragazzo, Adrien, il figlio scomparso dieci anni prima di un comandante dei pompieri. Lei è una macchina programmata per uccidere che cerca un rifugio, lui una divisa programmata per salvare vite che ha disperatamente bisogno di prenderla per qualcun altro. Tutto li separa ma poi qualcosa improvvisamente li unisce per sempre.

 

Dopo aver fatto parlare di sé e sconvolto il mondo in lungo e largo – aggiudicandosi, en passant, anche la Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes -, “Titane” di Julia Ducournau fa tappa a Londra, presentato in concorso al BFI.

Non è facile scrivere la recensione di un film su cui sono stati già versati fiumi di inchiostro negli ultimi dieci mesi. Ci proverò, naturalmente, perché non si dica che mi tiro indietro davanti alle sfide, nel mio terzo anno da inviata/caporedattrice al London Film Festival. 

“Titane” è sicuramente una pellicola disturbante, particolarissima, che vi lascerà perplessi per una buona metà e sconcertati per la restante – almeno, questo è stato l’effetto che ha fatto a me.

Agathe Rousselle, esordiente nel lungometraggio, interpreta Alexia, una giovane donna coinvolta da bambina in un incidente d’auto, causato dal padre, in seguito al quale le si è conficcata una placca di titanio nel cranio. Quello che le è successo l’ha resa spietata e ostile, reazione alquanto comprensibile.

Nel presente, Alexia si guadagna da vivere come ballerina in show automobilistici ed eventi promozionali, dove è circondata da personaggi inquietanti. Ma lei sa decisamente badare a se stessa, e uccide senza pietà chi le si avvicina troppo. Per sfuggire alla polizia assume l’identità di un ragazzo scomparso da dieci anni ed entra in contatto con il padre di lui, un comandante dei pompieri. 

Dopo il potente esordio nel 2016 con “Raw”, dove aveva usato raccapriccianti immagini di cannibalismo per affrontare tematiche come l’identità e l’immagine del corpo, le attese intorno alla Ducournau erano prevedibilmente alte.

La regista non delude il suo pubblico, continuando a portare avanti il suo discorso cinematografico. Anche in questo caso parla della malleabilità e della fame dell’uomo, utilizzando toni da horror, eccessivi ed estremi, ma finendo anche per andare oltre il genere stesso. 

Alcune scelte di sceneggiatura sono incomprensibili – come il “sesso” con le auto – ma tutto si inserisce piuttosto bene nella visione un po’ folle ed estrema della regista.

“Titane” è un film da vedere e assorbire, su cui porsi poche domande, anche perché risposte probabilmente non ce ne sono e niente va mai come ci saremmo immaginati (tolto forse l’incidente iniziale). Un capolavoro? Non saprei. Di sicuro particolarissimo.