La Storia viene molto spesso definita come il racconto delle gesta di individui che, per qualche tempo, si sono sollevati dal tumulto che li circonda per compiere atti che li rendono immortali.
In questa prospettiva, una figura come quella di Enrico VIII è iconica: con la sua mole si staglia nella storia del XVI secolo come pochi, oscurando in bene e in male tutto ciò che lo circonda. Se a questo aggiungiamo la prospettiva per lo più maschilista che pervade larga parte delle cronache del passato e degli studi, non è troppo sorprendente che delle sorelle del re d’Inghilterra si senta parlare poco.
Il desiderio di portare alla ribalta le storie di donne del passato è stato da sempre il motore che ha animato la scrittrice inglese Philippa Gregory, salita alla ribalta con serie storiche come quella sulla “Guerra dei cugini”.
Nel suo ultimo lavoro, “Three sisters, three queens“, uscito in lingua originale il 9 agosto, la Gregory è tornata a occuparsi della dinastia Tudor, analizzando non solo la storia, spesso dimenticata, di Margaret e Mary Tudor e Caterina d’Aragona, ma anche il loro rapporto.
LA VOCE DI UNA DONNA
Il romanzo “Three Sisters, Three Queens” è tutto narrato dal punto di vista di Margaret, figlia maggiore di Enrico VII. Enrico è appena salito al trono, dopo la fine della Guerra delle due rose, e sta consolidando il suo potere tra intrighi e complotti. La dinastia Tudor è tutt’altro che al sicuro. Margaret e la sorella minore Mary non sono solo principesse, ma anche pedine nel gioco delle alleanze, da maritare nel miglior modo possibile.
Raccontando la storia dal punto di vista di Margaret, la Gregory rifiuta implicitamente l’idea che, all’epoca, una donna di una certa posizione dovesse semplicemente starsene seduta ad aspettare che il suo destino venisse deciso da altri, dipingendo invece queste principesse come figure dinamiche, consapevoli del loro ruolo, della loro importanza e anche dei loro limiti.
Il fatto che Margaret Tudor prenda in giro il fratello Enrico – il futuro re d’Inghilterra – considerandolo solo un ragazzino sciocco e viziato è una chiara indicazione di come questa storia sia racconatta da un punto di vista interessante e particolare.
STATUS COME POTERE
Nonostante non abbiano un potere pubblicamente riconosciuto, le donne di “Three Sisters, Three Queens” riescono comunque a proporsi come “la mano invisibile della dinastia”, seguendo il modello di Margaret Beaufort, madre di Enrico VII e quindi nonna delle principesse, una vera forza in Inghilterra grazie alla sua influenza.
Anche se è chiaro che Margaret, la sorella Mary e la cognata Caterina d’Aragona sono usate come pedine e date in matrimonio a seconda dei piani degli uomini, la reazione di Margaret alle pressioni rende chiaro che le donne non sono del tutto inermi. Il loro potere può essere limitato dalla legge e dai costumi dell’epoca, ma tutte e tre le principesse usano le proprie armi (che comprendono status, capacità di mettere in soggezione e, per finire, figli) in un modo che è al contempo brillante e terribile.
“SORELLANZA”
Nell’universo dei Tudor descritto dalla Gregory, il rapporto tra queste tre donne – tutte destinate a diventare regine – è più importante delle macchinazioni degli uomini che indossano la corona e guidano le armate.
Margaret sale al trono come Regina di Scozia all’età di 12 anni, la sorella minore Mary diventa Regina di Francia e Caterina sposa il fratellino viziato delle due, Enrico, diventando Regina d’Inghilterra.
Da grandi poteri derivano però grandi responsabilità – e spesso grandi tragedie. La guerra tra Scozia e Inghilterra mette Margaret contro il fratello; Caterina non riesce a dare un’erede maschio al re e vede la sua posizione farsi sempre più pericolante, fin quando Enrico fa dichiarare nullo il loro matrimonio per sposare Anna Bolena. Mary, sposata inizialmente al re di Francia molto più vecchio di lei, accetta di andare incontro a un futuro incerto quando si sposa per la seconda volta per amore, contro il volere del fratello.
Philippa Gregory non filtra la storia attraverso la prospettiva degli uomini, ma attraverso quella delle donne, che non sempre si piacciono ma condividono frustrazioni e obiettivi comuni.
L’elemento davvero interessante di questo libro è che, nonostante il lettore sappia come si concluderà la storia – dopo tutto, si tratta di fatti davvero accaduti –, il racconto lo cattura e lo tiene avvinto dalla prima all’ultima pagina.
Con accenni a una storia poco nota, un pizzico di motivazioni inaspettate (e storicamente non accertate) e il suo consueto stile scorrevole, Philippa Greogry dipinge un mondo che risulta fresco e nuovo nonostante sia stato studiato e analizzato per secoli. Il fatto che riesca a farlo semplicemente concentrandosi sulle donne invece che sugli uomini dell’epoca mostra quanto, del nostro passato, resti ancora da scoprire e raccontare.