“The broken key”: un raffinato, quanto sterile, esercizio di stile

Louis Nero prova a riscrivere in chiave autoriale il genere fantasy. Il risultato è deludente e cervellotico

Un film di Louis Nero. Con Rutger Hauer, Michael Madsen, Geraldine Chaplin, Christopher Lambert, William Baldwin. Fantascienza, 120’. Italia, 2017

Data di uscita italiana: 16 novembre 2017

Il piccolo Arthur Adams vede morire il padre in un misterioso incidente acquatico. Di lui gli restano due ricordi: un accendino tipo Zippo e una Ankh, o chiave della vita, simbolo egizio dell’accesso al regno dei morti. Salto temporale al 2033 nella città di York, costellata di ologrammi futuribili e di videomessaggi, uno dei quali invita la cittadinanza ad oltrepassare i cancelli della morte e avviarsi verso la resurrezione. Arthur è ora un giovane uomo dedito all’archeologia e alla ricerca della verità, cui l’ha indirizzato la madre sul letto di morte. Il desiderio di svelare il mistero legato alla scomparsa di suo padre mette l’archeologo sulle tracce del frammento mancante del Canone di Torino. Ad aiutarlo la giovane assistente Sara e una serie di personaggi misteriosi, ognuno recante il proprio pezzo del puzzle finale.

 

Come si può scrivere la recensione negativa di un film senza risultare, per questo, offensivi nei confronti di un regista, di produttori e attori che si sono spesi per il progetto? È la domanda che mi tormenta da quando ho assistito alla proiezione di “The broken key” del regista italiano Luigi Bianconi, in arte Louis Nero.

Dopo lunghe chiacchierate con la mia coscienza, sono giunto alla conclusione che l’onestà intellettuale debba prevalere sul gusto personale. Quindi, in tutta onestà, esordisco ammettendo di non aver minimamente capito cosa Nero abbia voluto raccontare con questo film criptico, confusionario, cervellotico sia a livello narrativo che di messa in scena.

È già quasi impossibile provare anche solo a riassumere l’arzigogolato intreccio, una storia densa di citazioni e rimandi culturali, filosofici, religiosi ed esistenziali che travolgono anche lo spettatore più colto e ben disposto.

Louis Nero dimostra di avere una vasta conoscenza di queste complesse tematiche, ma non cerca in alcun modo di rendere il tutto digeribile – o anche solo accessibile – per uno spettatore medio.

“The broken key” è un raffinato quanto sterile, e alla lunga persino irritante, esercizio di stile, il tentativo di dare un’impronta d’autore al genere fantasy. Nel suo rievocare cult come “Matrix”, “Blade runner”, “Il nome della rosa” finisce però per esserne un’involontaria e tragicomica pantomima.

Il regista poteva contare su un cast composto da attori d’esperienza e giovani di belle speranze, ma gli interpreti finiscono per cedere sotto il peso di dialoghi che sfociano quasi non sense.

Personalmente, il film è un’occasione mancata. Mai come stavolta spero di sbagliarmi, e aspetto con trepidazioni di sapere quale sarà il giudizio del pubblico – e del box office.

 

Il biglietto da acquistare per “The broken key” è:
Neanche regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.