“Submergence”: un melodramma sull’amore impossibile e sul destino

Alicia Vikander e James McAvoy in una storia che si muove tra Europa e Africa, tra abissi e deserto

Un film di Wim Wenders. Con Alicia Vikander, James McAvoy, Alex Hafner, Audrey Quoturi,  Celyn Jones. Drammatico, 112′. USA, Germania, Francia, Spagna 2017

James e Danielle, un cooperante internazionale che in realtà lavora per lo spionaggio britannico e una bio-matematica che studia i fondali degli oceani, s’incontrano su una spiaggia della Normandia e s’innamorano. Dopo la vacanza, lui volerà in Somalia per un’operazione di intelligence che prevede come copertura la partecipazione a un progetto idrico in una zona dominati dagli estremisti islamici, lei invece scenderà nelle profondità del Mar Glaciale Artico per sondare il buio degli abissi: nonostante ciò decidono di restare uniti e promettono di rivedersi. James, però, sarà preso in ostaggio dai jihadisti e Danielle porterà avanti la sua missione preoccupata dal silenzio dell’uomo che ama.

 

Bolle d’aria sott’acqua, immagine opaca di un mare che è l’assoluto protagonista dell’ultimo film di Win Wenders, “Submergence”, co-produzione che coinvolge americani, tedeschi, francesi e spagnoli e che gioca con il potere del contrasto, raccontando due storie legate da un sottilissimo filo, che è poi quello del destino.

James (McAvoy) e Dany (Vikander) sono due facce della stessa medaglia. Si incontrano per caso e si innamorano subito ma il sentimento, forte, che li lega altro non è che un pretesto per raccontare l’abisso in cui può sprofondare l’essere umano, che lo voglia o meno.

Così ogni sequenza di questo melodramma che si muove tra Europa e Africa diventa un’alternarsi di riprese diverse ma complementari, con l’utilizzo di una palette di blu e grigi conditi da un giallo ocra che, in base al loro utilizzo, creano sensazioni contrastanti.

E se la drammaticità sembra essere una costante di “Submergence”, inizialmente si ha la sensazione di essere come avvolti dalla storia. Tra le inquadrature panoramiche e ampie della Normandia, Wenders ci fa conoscere i due amanti, ci mostra scene rilassanti, ci culla con le dolci ombre proiettate dalle candele e attraverso dialoghi sussurrati ci trasmette un senso, illusorio, di protezione.

Ben presto, infatti, in contrasto alla bellezza ambientale irrompe la malvagità dell’uomo. Il panorama si fa arido, la luce si spegne, l’abisso si palesa davanti a noi. E sembra di essere di fronte a una tragedia di Shakespeare, dove il destino diventa crudele e l’amore fatale.

Violenza e delicatezza, nelle figure antagoniste dei protagonisti, destinati, forse, a non rincontrarsi mai, si alternano sullo schermo non senza forzature, fino al bianco totale che si spande azzerando tutto. E se sentimentalmente questo lavoro di Wenders non sembra toccare vette altissima, almeno lascia qualche domanda o flash in testa. Oltre alla sensazione di aver assistito a un dramma semiserio, dal finale indefinito.

 

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Concetta Piro
Nata a Napoli, a otto anni si trasferisce in provincia di Gorizia dove si diletta di teatro. Torna nella sua amata città agli inizi del nuovo millennio e qui si diploma in informatica e comincia a scrivere - pensieri, racconti, per poi arrivare al primo romanzo, "Anime". Nel frattempo ha cambiato di nuovo città e scenario, trasferendosi nelle Marche. Oggi conduce per RadioSelfie.it "Lo chiamavano cinema", un approfondimento settimanale sulla settima arte, e scrive articoli sullo stesso tema.

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