Un film di Sydney Sibilia. Con Edoardo Leo, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Libero de Rienzo, Stefano Fresi. Commedia, 96′. Italia 2017
È passato un anno da quando la banda di Pietro Zinni è stata colta in flagranza di reato nel laboratorio di produzione Sopox e ognuno dei suoi componenti rinchiuso in un carcere diverso. Da Regina Coeli Pietro continua ad avvertire le autorità che un pazzo ha sintetizzato gas nervino ed è pronto a compiere una strage, ma nessuno lo prende sul serio. Dunque si fa trasferire a Rebibbia per incontrare il Murena, che ha informazioni utili a intercettare lo stragista. Dopodiché Pietro intende rimettere insieme la banda di ricercatori universitari: le menti più brillanti in circolazione in perenne stato di disoccupazione (o detenzione).
Il regista salernitano Sydney Sibilia chiude i conti con la sua trilogia dei ricercatori e porta a compimento la saga iniziata con il fortunato “Smetto quando voglio” nel 2014.
Avevamo lasciato Pietro Zinni (Leo) e la sua gang dei professori invischiati nell’inganno ordito dalla polizia romana, che dopo averli sfruttati per scovare Sopox ha deciso di abbandonarli dietro le sbarre, in carceri diversi, separati per arginare l’imprevedibilità del gruppo.
La chiusura della trilogia compatta quanto visto finora e getta nuova luce su alcune zone d’ombra del passato. Se i precedenti episodi cercavano l’effetto sorpresa (il primo nel territorio “sicuro” della commedia, il secondo invadendo la rischiosa palude dell’action movie), questo “Ad Honorem” chiude il cerchio e regala inaspettati approfondimenti umani che costituiscono un solido background su cui innervare la vicenda di momenti ironici.
Soltanto abbozzato nel primo capitolo, il Murena (Marcorè) torna in scena diventando un personaggio ben caratterizzato e determinante. Allo stesso modo, Mercurio (Lo Cascio) va ben oltre la macchietta: il flashback usato per raccontare il suo passato è vitale nel creare un cattivo credibile e temibile, un villain, anch’esso proveniente dal mondo accademico, che saprà dare del filo da torcere alla banda.
Visivamente invece ci troviamo in continuità con il passato. La fotografia satura e la regia di Sibilia sono inconfondibili, danno l’impressione di non aver mai staccato gli occhi dal capitolo precedente. Anche le scelte musicali sono coerenti, con i brani usati principalmente a commento delle scene più intense.
C’è comunque da sottolineare che il messaggio scanzonato che inizialmente era dietro il progetto del regista sia diventato qualcosa di molto più grande e di più aulico: il precariato, raccontato a modo suo, ha quasi del tutto abbandonato la commedia per arrivare a uno stadio quasi da film western, con armi da fuoco e attentati su larga scala da evitare.
“Smetto quando voglio – Ad honorem” ha il merito di recuperare buona parte dello slancio e della sgargiante, originale energia del capostipite diventandone la perfetta conclusione.