Due coppie unite da rapporti contrastanti – lo scrittore di successo Michael e la moglie Lizzie, giornalista precaria, il ristoratore Finn e la moglie Taylor – e una ragazzina di quasi 11 anni affetta da una forma di timidezza patologica partono insieme per una vacanza in Italia. Il programma prevede di passare qualche giorno a Roma, per poi spostarsi in Sicilia. Ma il viaggio finirà per riservare più di una sorpresa…
“Siracusa” di Delia Ephron, tradotto dall’inglese da Enrica Budetta ed edito da Fazi Editore, inizia come una brillante commedia americana, dove ognuno dei quattro protagonisti racconta la propria versione, che non necessariamente coincide con quella degli altri, per poi virare, imprevedibilmente, verso il noir.
Una duplicità che conquista il lettore, che nonostante la “frequentazione” con Micheal, Lizzie, Snow e gli altri non si aspettava che le cose potessero davvero prendere una certa piega (non aggiungerò altro per non rovinarvi il piacere della lettura).
Nonostante la patina – almeno iniziale – di leggerezza, potremmo quasi dire da lettura estiva, il romanzo tocca una serie di tematiche delicate, e lo fa in modo piacevole, spingendo il lettore a riflettere su questo e quello senza per questo appesantire la storia.
Cosa fa funzionare un matrimonio? È, come sostiene la iper-organizzata, algida e maniaca del controllo Taylor, il fatto di capire che c’è qualcosa di più importante di noi – nel suo caso, la figlia – e il dedicarsi a questa “cosa” in modo assoluto, mettendo noi stessi da parte? Sono gli obiettivi comuni? È la capacità di tenere sempre vivo il mistero, il riuscire a sorprendersi nonostante gli anni che passano? Oppure altro ancora?
E cosa spinge due persone a sposarsi – o detto altrimenti, perché decidiamo in tutta coscienza di sposare una persona piuttosto che un’altra? L’attrazione fisica iniziale basta a giustificare un matrimonio? Oppure serve altro a farci dire: sì, lo voglio?
Tra rapporti di coppia, tradimenti, realizzazione personale e bugie, confesso di aver trovato davvero affascinante il personaggio di Snow, l’unica piccola della storia, il suo rapporto con gli adulti e il modo dei genitori di relazionarsi con lei.
In primis ho trovato strano che Taylor e Finn – e apparentemente anche i medici e gli specialisti che vengono menzionati nel corso del libro – parlino sempre e solo di “timidezza”. Gli atteggiamenti della ragazzina (il fatto di parlare pochissimo, di isolarsi dal mondo, di essere quasi succube della madre, almeno in apparenza) a me hanno fatto subito pensare a qualcosa di più serio, una forma di autismo probabilmente… Mi sono chiesta se il minimizzare di Taylor e Finn fosse intenzionale.
In secondo luogo, l’atteggiamento della madre è quasi più patologico dei comportamenti della figlia. Per quanto l’amore di un genitore sia incondizionato e totalizzante, nascondere i nostri figli sotto una campana di vetro può essere una soluzione? Proteggerli da tutto, selezionando noi quello che vogliamo o meno che incrocino sul loro cammino? Chiaramente no.
Per quanto faccia paura, dobbiamo imparare fin da subito che i figli sono persone a se stanti, con un carattere, una personalità, impulsi, desideri e aspirazioni. Cose che comunque – Snow in “Siracusa” ne è la prova lampante! – verranno fuori, a prescindere da quanto li abbiamo guardati a vista. Anzi, chi può dire che non sia stata proprio Taylor con la sua apprensione a rendere la bambina quello che è?