“Scrivere è un mestiere pericolo”: Vani Sarca alla prova del cuoco

Tornano Alice Basso e le sue storie in salsa torinese tra giallo e commedia, libri e introspezione

Quando un libro di esordio ha riscosso un così grande successo – e consenso – di pubblico come è successo a “L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome” di Alice Basso (qui la recensione) non è facile rimettersi in gioco e tornare con una seconda avventura. Non prendiamoci in giro: il rischio di deludere tutti, di scrivere qualcosa di meno riuscito, meno brillante, meno, c’è, ed è concreto.

Sono stata tra i lettori sinceramente stupiti dall’esordio della Basso – perché il mercato editoriale nostrano e non ci ha insegnato a diffidare dai libri che riportano in copertina parole come “libro/i”, “libreria”, “scrittore/i” e immagini connesse, e quindi ero partita con i piedi di piombo -, e a distanza di un anno sinceramente curiosa di vedere come sarebbero proseguite le avventure investigative, lavorative e amorose della ghostwriter più cinica e irriverente della narrativa Vani Sarca e se l’autrice sarebbe stata capace di portare avanti un discorso coerente, senza cadere in facili escamotage attira-consensi.

Ebbene devo dire che “Scrivere è un mestiere pericoloso” non solo mi ha convinta, e ha confermato l’ottima impressione che mi ero fatta lo scorso anno delle abilità di narratrice di Alice Basso ma, se possibile, mi è piaciuto anche più del romanzo precedente.

La scrittura è sempre fluida, scorrevole, piacevolissima da leggere. I personaggi sono sempre ben caratterizzati e coerenti, capaci di coinvolgere il lettore con il loro essere profondamente umani e realistici, non figurini stilizzati e perfetti a cui tutti riesce bene e che non commettono mai errori, passi falsi o imprudenze, ma che, al contrario, si comportano proprio come facciamo noi nella vita di tutti i giorni.

Quello che ho trovato migliore in questo libro è lo sviluppo e la consistenza – permettetemi il termine mutuato dalla cucina, ma in questo caso peno possa starci – della componente gialla e investigativa della vicenda.

In “L’imprevedibile piano”, l’indagine in cui Vani si trovava suo malgrado coinvolta mi era sembrata un pochino leggera, fumosa, davvero poca cosa per poter parlare di un giallo. In questo caso, invece, anche se il delitto al centro della vicenda non avviene “in tempo reale” ma risale al passato c’è maggiore consistenza, maggiore sviluppo. Si vede che l’autrice ha fatto tesoro dei commenti ricevuti dai lettori – nell’intervista per Parole a Colori Alice Basso parla anche di questo – sul suo libro di esordio e si è migliorata per scrivere il sequel.

Da ventinovenne – per cui le relazioni tra persone con una certa differenza di età non rappresentano alcun problema o alcun sovvertimento dell’ordine naturale delle cose come invece, mi rendo conto, può essere a 18 anni – confesso di fare il tifo spudoratamente per la protagonista e il commissario Berganza. Avrà anche cinquant’anni, sarà anche un uomo “di mezza età” – anche se forse lui storcerebbe il naso davanti a una definizione di questo tipo – ma a me sembra davvero l’unico uomo all’altezza di Vani.

Perché – e credo sia questo, se analizziamo il romanzo attentamente, una delle lezioni più importanti che emergono dalle pagine – quando si tratta di rapporti interpersonali (che sia amore oppure amicizia) non contano tanto l’aspetto fisico o i legami di sangue. Conta trovare qualcuno che non ci giudichi ma ci ami senza riserva, che ci accetti per quello che siamo – abiti neri, battute sferzanti e cinismo verso la vita compresi.

Alla prossima, Vani.

 

SCONSIGLIATO. PUNTO DI DOMANDA. Nì. CONSIGLIATO. IMPERDIBILE