Un film di Damon Cardasis. Con Margot Bingham, Regina Taylor, Marquis Rodriguez, Peter Y. Kim, Evander Duck Jr. Drammatico, 82’. USA, 2017
Bronx, New York City. Il quattordicenne Ulysses ha appena perso il padre. Sua madre, Amara, è rimasta sola a dover crescere i due figli più piccoli, con il solo aiuto di zia Rose, una donna severa e conservatrice. Ulysses è un ragazzo timido ed effeminato e non è a proprio agio con se stesso. L’esistenza del ragazzo cambia radicalmente quando entra in contatto con una neonata comunità transgender. Mentre la sua vita si sdoppia, aumentano i sospetti di sua zia, tanto che il ragazzo è costretto a rivelare la verità sul proprio conto.
Esiste un modo corretto, responsabile e non castrante per una famiglia di sostenere un ragazzo/a quando questo deve prendere coscienza della propria sessualità? Bisogna essere comprensivi, pazienti e disponibili all’ascolto, oppure ignorare la cosa e aspettare semplicemente che si risolva da sé? O ancora, usare il pugno di ferro per far sì che il giovane non esca dai binari prefissati?
Nella società contemporanea porsi interrogativi come questi dovrebbe risultare strano, retrogrado, eppure la cronaca ci racconta di come la sessualità sia ancora un tabù scomodo e pericoloso anche per le grandi stelle di Hollywood.
“Saturday Church” di Damon Cardasis paradossalmente è sia una pellicola classica che originale. Al centro del racconto c’è il travaglio emotivo ed esistenziale del quattordicenne Ulysses (Kain), combattuto tra il dolore per la morte del padre e l’incapacità della famiglia di accettare la sua vera natura. Queste tematiche tutto sommato già viste vengono realizzate in un musical, un espediente fresco.
Il film piace e commuove quando gli interpreti cantano e ballano per esprimere sentimenti, paure e soprattutto il loro doloroso passato, perdendo invece incisività e forza quando la parola prevale sulla musica.
Il giovane protagonista Luka Kain affronta senza timore il difficile ruolo, calandosi con talento, sensibilità e credibilità in Ulysses, trasmettendo in modo convincente i suoi turbamenti al pubblico.
In un cast che si rivela artisticamente valido ed esperto nel complesso, brilla la stella di Regina Taylor nel ruolo della bigotta e intollerante zia Rose, che in qualche modo rispecchia ognuno di noi.
La stampa ha definito “Saturday Church” un ibrido vincente e riuscito tra “Moonlight” e “La La Land”. Seppure non condivida l’entusiasmo dei colleghi, sono sicuro che il film darà modo al pubblico di riflettere, ballando e cantando al contempo.
Il biglietto da acquistare per “Saturday Church” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio (con riserva). Ridotto. Sempre.