“Rialto”: ritratto – troppo – intimo ed essenziale di un over40 di oggi

Il film di Peter Mackie Burns è complesso, privo degli elementi necessari per emozionare il pubblico

Un film di Peter Mackie Burns. Con Tom Vaughan-Lawlor, Tom Glynn-Carney, Monica Dolan, Sophie Jo Wasson, Scott Graham. Drammatico, 90′. Irlanda, Regno Unito 2019

Colm ha circa quarantacinque anni, è sposato e ha due figli adolescenti. Ancora addolorato per la perdita del padre, ha a sua volta difficoltà nel rapporto con il figlio, e il suo lavoro è minacciato da un recente cambio di proprietà. Incapace di condividere con la moglie le proprie vulnerabilità, Colm vede il proprio mondo sgretolarsi intorno a lui. In piena crisi, chiede a un giovane, Jay, di fare sesso con lui. L’incontro e la crescente infatuazione che prova hanno un effetto dirompente su Colm. In Jay trova un conforto che nessun altro sa dargli.

 

Se decidi di girare un film raccontando il punto di vista di un uomo maturo, rimasto orfano di padre, senza il minimo accenno alla sua infanzia o visione della vita, serve una spiccata sensibilità per evitare una Caporetto.

“Rialto” di Peter Mackie Burns, presentato nella sezione Orizzonti della Mostra del cinema di Venezia, non riesce a salvarsi al 100%.

Il ritmo del film è lento, i tanti dialoghi sono spesso privi di contenuto, le immagini statiche. Il regista sembra voler entrare fin dentro l’anima del suo protagonista, ma lo fa scegliendo di escludere dalla storia tutto il mondo che lo circonda.

Il risultato è una pellicola complessa, priva di elementi narrativi o visivi capaci di catturare l’attenzione del pubblico, che resta anche perplesso davanti all’utilizzo di storie secondarie, che si intersecano con quella principale senza un apparente motivo.