“The kill team”: ispirato a una storia vera, un film sulla guerra e la morale

Dan Krauss riprende la storia vera del soldato condannato a tre anni per l'omicidio di un civile inerme

Un film di Dan Krauss. Con Nat Wolff, Alexander Skarsgård, Adam Long, Jonathan Whitesell, Brian Marc. Azione, 87′. USA 2019

Andrew Briggman è un soldato di stanza nella zona di Kandahar e fa parte di un plotone che deve presidiare l’area ed individuare eventuali cellule terroristiche. A capo dell’unità è il sergente Deeks il quale è impegnato a trasformare i suoi uomini in assassini che vedano in ogni afgano non un essere umano ma un possibile attentatore indipendentemente dall’età. Briggman non può accettare una simile logica ma al contempo non sa decidersi tra il denunciare il superiore, mettendo in gioco la sua stessa esistenza, oppure lasciarsi attrarre dalla forza seduttrice di chi pensa che seminare indiscriminatamente la morte sia un atto di valore.

 

Tutto quello che succede non doveva succedere. Le operazioni americane in Afghanistan diventano dei veri e propri massacri, i soldati addestrati per portare la pace e prevenire le guerre diventano carnefici. C’è un confine sottile fra giusto e sbagliato, soprattutto in situazioni ad alto rischio.

Ruota intorno al dubbio atroce del protagonista – fare quello per cui è stato addestrato, stare con la sua “squadra” o pensare liberamente e prendere le parti dei civili, più o meno innocenti? – “The kill team” di Dan Krauss, ispirato a una storia vera, quella del soldato Adam Winsfield, che ci ha girato su anche un documentario nel 2014.

Il problema principale del film è la sceneggiatura, banale e piatta, che non punta a un orizzonte preciso e non motiva lo svolgimento e la risoluzione finale della storia a dovere. Così si finiscono per sprecare buoni elementi di partenza: il cast, la regia, la fotografia e anche l’idea di partenza.

I primi minuti di “The kill team” mi hanno fatto pensare ad “American Sniper” di Clint Eastwood, ai dubbi morali e alle lotte interiori di Bradley Cooper. Ma, ribadisco il concetto, l’idea iniziale muore sul nascere, lasciata dopo poche sequenze inesplorata, superficiale e alla deriva.

 

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Sofia Peroni
Classe 1996, marchigiana d’origine, studia comunicazione a Roma e ha trovato il modo di coniugare la passione per il cinema e quella per la scrittura... Come? Scrivendo sul e per il cinema dal 2015. Ha all'attivo diverse esperienze sul set, con registi del calibro di Matteo Garrone, e sogna un giorno di veder realizzato il suo film.

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