“Raya e l’ultimo drago”: un’avventura fantastica, epica e commovente

Il nuovo film Disney attinge - con successo - dalla cultura dei Paesi del sud-est asiatico

Un film di Don Hall, Carlos López Estrada. Con Awkwafina, Cassie Steele. Animazione. USA 2021

500 anni fa la nazione di Kumandra univa popoli differenti sotto il pacifico presidio dei Draghi. Finché i Druun, entità malvagie, non si sono diffusi tra gli uomini, agevolati dalla loro cupidigia e discordia, finendo per trasformare ogni forma vivente in pietra. Solo il sacrificio dei Draghi permise all’umanità di salvarsi: il segreto del loro potere è rimasto racchiuso in una gemma magica, unica arma di difesa contro i Druun. Oggi Kumandra non esiste più, divisa tra nazioni belligeranti, che corrispondono ad altrettante “parti” del drago: Zanna, Artiglio, Cuore, Dorso e Coda. Raya, principessa di Cuore, dovrà intraprendere un lungo viaggio, per cercare il solo in grado di salvare Kumandra…

 

Quando tradizione e innovazione si incontrano, e con loro avventura, fantasy, buoni sentimenti ma anche il desiderio di alzare l’asticella rispetto ai “classici” film per famiglie, ecco che nascono stelle danzanti. Come “Raya e l’ultimo drago”, il nuovo film Disney disponibile su Disney+ (per adesso solo con Accesso VIP, dal 4 giugno per tutti gli abbonati).

Kumandra, mitologica terra dei draghi che in un passato remoto si sono sacrificati per salvare il genere umano, una volta regno unitario, è oggi diviso in cinque nazioni belligeranti, Cuore, Zanna, Coda, Artiglio e Dorso. E adesso, a causa dell’avidità e della disunione degli uomini, un’entità nota come Druun lo sta distruggendo.

Toccherà a Raya, principessa di Cuore, una guerriera solitaria che padroneggia le tecniche del kung fu, e che incarna alla perfezione la principessa/eroina disneyana, intraprendere un viaggio alla ricerca dell’ultimo drago, in grado di salvare Kumandra.

Diretto da Don Hall e Carlos López Estrada, “Raya e l’ultimo drago” attinge alla cultura e alla mitologia dei Paesi del sud-est asiatico. E attraverso un’estetica davvero sbalorditiva, dà vita a un mondo che è sia classico che nuovo – come dicevamo in apertura.

I personaggi sono ricchi di particolari, il design è fantastico. Mi ha colpito soprattutto l’aspetto del drago Sisu, e il grande lavoro fatto dalla doppiatrice, che risulta espressiva ma non eccessivamente fumettistica. E poi la vivacità e i colori dei paesaggi, che Raya incontra nel corso della sua quest.

Certo, la storia è sempre quella: una ricerca che diventa viaggio di formazione per la protagonista, attorniata da creature fantastiche, guerrieri valorosi, personaggi “secondari” colorati e stravaganti e la gemma che ha il potere di salvare il mondo.

Ma al di là della bellissima estetica, quello che più convince di “Raya e l’ultimo drago” (che nonostante sia stato realizzato prima della pandemia sembra anche raccontare, incredibilmente, quello che stiamo vivendo in questi anni, con la riduzione di gioia e libertà legata a una causa ignota ma per certi versi legata a errori umani), e lo rende quindi un film da vedere, è il suo insistere sul fatto che sono le divisioni e le lotte tra popoli, a “generare mostri”.

Dobbiamo cercare di ritrovare la fiducia nel prossimo, ci viene suggerito tra le righe di questa avventura fantastica, e questo significa mettere da parte i traumi del passato e fare la prima mossa. Perché se vogliamo che gli altri si fidino di noi, siamo noi i primi a doverci fidare degli altri.

Commovente – ho versato non poche lacrime, lo ammetto! – ed emozionante, “Raya e l’ultimo drago” è una storia sulla fallibilità e l’incertezza che spesso si accompagna al coraggio, racchiusa in una narrazione indimenticabile che rende omaggio alla mitologia del passato mentre crea il proprio presente e futuro. Uno di quei film che avrei assolutamente voluto vedere al cinema.