“Rapina a Stoccolma”: un biopic con buone premesse e modesto risultato

Noomi Rapace ed Ethan Hawke nell'adattamento del fatto di cronaca che ha dato il nome alla nota sindrome

Un film di Robert Budreau. Con Noomi Rapace, Ethan Hawke, Mark Strong, Christopher Heyerdahl, Bea Santos. Biopic, 92′. USA 2018

La rapina alla Sveriges Kredit Bank di Stoccolma avvenuta nel 1973 è stata un caso mediatico senza precedenti. I rapinatori presero in ostaggio 4 persone per 131 ore, quasi 6 giorni di prigionia. I sequestrati, dopo il rilascio, vennero sottoposti a un confronto psicologico che portò alla luce una forma patologica che prese il nome di Sindrome di Stoccolma.

 

Ispirato a un fatto di cronaca avvenuto in Scandinava nel 1973, e che sorprendentemente non era mai stato adattato prima per il grande schermo, “Rapina a Stoccolma” di Robert Budreau racconta la storia di Lars Nystrom, un rapinatore sopra le righe.

Il film di Budreau poteva contare su ottime premesse e, almeno sulla carta, su un grande cast. Il risultato finale, però, è tutt’altro che soddisfacente.

La sceneggiatura non è abbastanza divertente da coprire inciampi e approssimazioni, gli attori sono sottotono (anche quell’Ethan Hawke che di solito amo alla follia). Si poteva sicuramente fare di più, a partire dalla colonna sonora – dove c’è molto Bob Dylan ma male sfruttato.

La vicenda viene spettacolirizzata e “americanizzata” ma si finisce per perdere di vista il cuore della narrazione: non tanto e non solo la figura di Lars Nystrom e l’attendibilità storica di quanto raccontato, ma la “sindrome di Stoccolma”, che dall’episodio prende il nome.

Se c’è qualcosa di vincente è lo stile visivo, il grande lavoro del direttore della fotografia Brendan Steacy che, insieme al regista Robert Budreau, ha restituito una perfetta atmosfera anni ’70. Abbastanza per non definire “Rapina a Stoccolma” un totale fallimento.