Un film di Daniele Segre. Documentario, 82′. Italia 2018
A quattro decadi da uno dei suoi primi lavori, “Il potere dev’essere bianconero” (1978) Daniele Segre posiziona di nuovo la macchina da presa in un ambito non proprio tra i più accessibili: il gruppo dei Drughi, una delle cinque tifoserie organizzate della curva juventina. Il nome drughi riprende quello dei delinquenti furiosi di “Arancia meccanica” di Stanley Kubrick (1971), a sua volta tratto dal romanzo omonimo di Anthony Burgess. E un fotogramma con le sagome nere dei droogs campeggia sullo sfondo di uno dei set di questa serie di interviste a fedelissimi bianconeri.
Quando, in modo quasi ciclico, in Italia si verfica un nuovo incidente dentro o fuori uno stadio di calcio, i media tornano a occuparsi delle curve e del mondo degli ultrà, senza però averne una precisa conoscenza e percezione.
Se è vero che il mondo del calcio è profondamente cambiato negli ultimi quarant’anni, con l’aspetto economico che quasi prevale su quello meramente sportivo, ciò che rimane pressoché immutato è “la fede” prodonda e il credo degli ultras.
Daniele Segre è stato uno dei primi cineasti a comprendere quanto fosse urgente e narrativamente straordinario mostrare questi tifosi in carne e ossa, e spiegare allo spettatore semplice la loro mentalità, i principi e la rigorosa struttura gerarchica che regolano questo microcosmo.
A quarant’anni da “Il potere dev’essere bianconero” (1978), Segre torna a puntare la telecamera verso la curva invece che sul campo, ben consapevole delle trasformazioni identitarie e dei passaggi generazionali avvenuti in questi anni nel gruppo dei Drughi, una delle cinque tifoserie organizzate della curva juventina.
“Ragazzi di stadio, 40 anni dopo”, presentato al TFF, più che un documentario va considerato come una vera e propria inchiesta giornalistica, capace di scavare in profondità e senza alcuna censura nella nuova realtà del tifo bianconero.
Lo spettatore scopre una realtà spesso ingota dalla viva voce degli ultras, attraverso interviste/confessioni sincere, appassionate, in alcuni passaggi sconvolgenti. Il regista compie un intelligente e creativo lavoro di “cucitura narrativa” affiancando efficacemente vecchi e nuovi Drughi, sollecitando chi guarda a fare i dovuti paragoni.
“Ragazzi di stadio, 40 anni dopo” ci mostra quanti cambiamenti sociali, culturali e soprattutto ideologici si siano verificati all’interno del gruppo, incluso il preoccupante passaggio politico dei tifosi da posizioni di estrema sinistra a posizioni di estrema destra.
Nonostante tutto, alcune cose sono rimaste immutabili nel tempo: il senso di appartenenza e l’amore incondizionato per la Juventus. Gli ultras sono una sorta di famiglia allargata, in cui convivono padri di famiglia, rispettabili professionisti, belle ragazze, studenti e disoccupati. Ad accomunarli la voglia di seguire ovunque la Vecchia Signora.
“Ragazzi di stadio, 40 anni dopo” è un film utile, intenso e per certi versi anche divertente e surreale, che attesta come le società di calcio moderne, proiettate verso il futuro e attente agli utili, e gli ultras, legati a un vecchio modo di intendere lo sport e la rivalità, abbiano ormai ben poco da condividere. Ad eccezione del desiderio di vincere.
Il biglietto da acquistare per “Ragazzi di stadio, 40 anni dopo” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.