Libri che prendono la strada del grande schermo, certo non una novità. Ma cosa succede quando una storia made in USA, fatta di cupidigia, fallimento e segreti, viene portata a parlare italiano, anzi, livornese? Il romanzo dello scrittore americano Stephen Amidon, Il capitale umano, ha catturato l’attenzione del regista Paolo Virzì, che lo ha adattato per il grande schermo, introducendo qualche cambiamento ma restando di fatto fedele allo stile e allo spirito dell’opera.
Il film ha riscosso una serie di riconoscimenti, nel nostro paese e all’estero. Scelto per rappresentare l’Italia agli Oscar 2015, non è però entrato nella shortlist dei nove titoli, diffusa dall’Academy a metà dicembre, che concorreranno effettivamente per il premio.
Proponiamo qui un’intervista all’autore del libro, Stephen Amidon, ripresa dal Book Blog di Barnes & Noble. Cosa si prova quando la storia che abbiamo scritto viene adattata per il grande schermo? Cerchiamo di capirlo leggendo le risposte di chi ha vissuto questa particolare esperienza.
Quando un libro viene adattato per il cinema, solitamente una delle due versioni è migliore dell’altra. In questo caso, invece, entrambi sono molto riusciti. Perché pensi che la tua storia profondamente americana non abbia sofferto della traduzione nel contesto italiano?
La ragione principale è il talento del regista Paolo Virzi e degli sceneggiatori Francesco Bruni e Francesco Piccolo. A mio avviso sono stati davvero bravi a estrapolare i temi universali contenuti nel romanzo – cupidigia, ambizione, ciò che vogliamo per i nostri figli – e tradurli poi in un contesto diverso rispetto al Connecticut del libro. Penso anche che l’Italia di oggi stia vivendo alcune delle crisi e dei cambiamenti che hanno interessato gli Stati Uniti del 2000–2001, quando il libro è stato scritto. Nello specifico, qual è il costo umano del rapporto tra Fausto e le banche che permettono alle società di finanziare un altro tenore di vita? Quanto possono e vogliono sacrificare le persone per la sicurezza economica e lo status sociale? Come si può crescere un bambino in un mondo che dà tanto peso al successo?
Qual è il tuo film preferito, adattamento di un libro?
Il mio film preferito è Il padrino, quindi penso di dover fare questo nome, anche se il solo tentativo che ho fatto di leggere il libro non è andato bene. Penso sia estremamente difficile, adattare una storia per il grande schermo. Ce ne sono davvero tante che non funzionano! Talvolta penso che i libri mediocri siano più semplici da trasformare in buone pellicole rispetto ai grandi libri. Detto questo, per me Alexander Payne è un regista che riesce sempre nell’impresa.
Il tuo libro e l’adattamento non sono molto diversi, ma possiamo dire che l’italianizzazione abbia dato una seconda vita alla storia. Quando hai scritto il romanzo pensavi che sarebbe potuto succedere qualcosa del genere? Immaginavi Ben Affleck e Angelina Jolie al posto di attori italiani?
Mentre scrivo cerco sempre di visualizzare la storia e i personaggi, quindi per certi versi è come se stessi girando un film, almeno nella mia testa. Ma la strada che porta a un adattamento cinematografico è talmente lunga e tortuosa che uno scrittore dovrebbe essere un po’ matto a mettere mano alla penna con questo proposito già presente. Quindi no, non avevo già pensato a qualche attore in particolare per prestare il volto ai miei personaggi – anche se ammetto che gli interpreti italiani sonno molto più interessanti dei caratteri che mi sono figurato io.
C’è stato qualcosa dell’adattamento di Paolo Virzì che ti ha sorpreso, reso felice o infastidito? Hai pensato: “Wow, è anche meglio di come lo avevo immaginato io!” oppure “No, no, no, non è questo che avevo in testa!”?
Niente mi ha infastidito e questo credo sia importante da dire, visto i rischi dell’operazione. Penso che quello che mi ha reso più felice, invece, è la sceneggiatura. Ho provato io stesso a scrivere un adattamento cinematografico del romanzo e visto il pessimo risultato avevo creduto non fosse possibile. Il modo in cui gli sceneggiatori italiani hanno risolto il problema della pluralità di punti di vista è davvero fantastico. Anche la performance di Valeria Bruni Tedeschi come Carrie (o meglio Carla) mi ha colpito, perché è stata capace di cogliere le sfumature del personaggio. Una grande prova di una grande attrice.
Per la tua storia ti sei ispirato a fatti reali oppure è tutto frutto della tua immaginazione?
Be’ l’osservazione di ciò che mi circonda mi ha ispirato, ma per larga parte la storia è farina del mio sacco.
Stai lavorando a qualche nuovo progetto?
In questo momento sto lavorando a un’opera per il teatro che verrà rappresentata a Torino la prossima primavera. Si chiamerà 6Bianca. È un progetto affascinante: una rappresentazione che si compone di sei parti, che andranno in scena in sei weekend consecutivi, come una sorta di serie tv, visibile al Teatro Stabile e non sul piccolo schermo. Ho scritto la trama dell’opera e tre episodi nello specifico, e sto lavorando con un gruppo di talentuosi scrittori italiani per le parti restanti. Ho anche portato a termine un nuovo romanzo, ma al momento non ho notizie precise sui tempi di pubblicazione quindi…
A questo punto ti senti legato all’Italia?
Assolutamente sì. Ho avuto una breve storia d’amore con questo Paese quando avevo 19 anni e passai un semestre a Venezia come studente, ma non ci sono più tornato, anche se ho vissuto a Londra per un po’ di tempo. Il fatto che l’Italia e la sua cultura siano rientrati nella mia vita è un dono inatteso ma assolutamente gradito. I benefici personali sono enormi – gli italiani sono anfitrioni meravigliosi – ma anche dal punto di vista artistico questo ritorno di fiamma mi sta aprendo davanti nuove strade.
Cosa ci dite, amici lettori, dei libri che prendono la strada del grande schermo? Una moda dilagante, dove non si guarda in faccia a nessuno, pur di vendere? Ci sono degli adattamenti che avete apprezzato (magari anche più del romanzo da cui prendono il là)? Siamo davvero curiosi di sapere il vostro parere su questo argomento di attualità.