1983. Un affascinante ed enigmatico agente dell’intelligence americana, Clay Nathan Hobbs, nome in codice Blue Shadow, coinvolge l’infermiera Leila Lane in una rocambolesca avventura in Europa sulle tracce di un agente del KGB, Egor Vinogradov, che ha un grosso conto in sospeso con lui. La comparsa in scena di una terza donna, l’agente segreto Rebecca Doyle, complicherà i rapporti tra i due protagonisti. Il terzetto dovrà tenere a bada i sentimenti per sventare un complotto ideato dallo spionaggio sovietico e la minaccia di un conflitto atomico.
Cosa mi è piaciuto di questo libro? Prima di tutto il fatto che si tratti di una spy story con tutti i crismi, costruita in modo attento, con una serie di elementi che rimandano alle grandi storie del genere – da James Bond alle spie più moderne – declinati però in una chiave spesso ironica, sempre particolare.
In “Phoenix – Operazione Parrot” si avverte senza dubbio la presenza di un’autrice di sesso femminile, per il modo in cui elementi crudi e realistici vengono affiancati a spunti per certi versi romantici, a inserti di tipo personale. Questo è un libro che vi farà tenere il fiato sospeso, ma che vi farà anche sognare e battere il cuore – una combinazione non da poco.
La protagonista femminile contribuisce parecchio alla buona riuscita dell’architettura narrativa. Dimenticatevi le Bond girl tutte curve, abiti succinti, vite avventurose e zero problemi (in Rebecca Doyle, fidanzata di Clay e spia a sua volta potrete riconoscere il tipo): Leila Lane non fa decisamente parte di questo gruppo. La nostra eroina è una mamma single che lavora come infermiera, ha questioni non risolte e problemi a non finire con il padre di suo figlio, vive con la sorella incasinata quanto se non più di lei.
Il fatto di vedere una ragazza normale, con un bambino, un lavoro faticoso, problemi domestici che potrebbero essere i nostri, venire catapultata nel mondo dello spionaggio e diventare la star di questo romanzo mi è davvero piaciuto tanto. Perché non capita spesso. Nella narrativa le donne come Leila sono spesso relegate al ruolo di mogli e madri, al massimo sono protagoniste di vicende normali, per certi versi banali. Non qui. Leila è una donna in cui tutte possono rivedersi, ma il fatto che viva un’avventura come questa, che si dimostri capace di superare i suoi limiti e dia prova di un coraggio pari a quello di persone addestrate, per molti versi è una sorta di rivalsa del genere femminile.
L’agente segreto Blue Shadow, alias Clay Hobbs, di contro, ammetto che non ha riscosso molto spesso la mia simpatia. Ci sono lati del suo carattere pensati per farcelo piacere (l’aspetto fisico, le mille risorse, la sicurezza) e conoscendo via via scorci del suo passato non possiamo non giustificarlo, almeno un po’, è solo che il suo modo di fare troppo sicuro, gli atteggiamenti da latin lover, quel senso di sufficienza con cui tratta spesso il resto del mondo – e la sua improvvisata compagna d’avventura in particolare – mi hanno dato i nervi. Quando Leila, nel corso della storia, pensa “Chi credeva di essere quel manichino borioso, pieno di sé? Che pensasse quello che voleva, non doveva certo dare spiegazioni a lui” mi sono ritrovata al 100% nelle sue parole.
Ben congegnata la trama, apprezzabilissimo il montaggio narrativo che alterna punti di vista e personaggi diversi. Dar voce a Leila e a Blue, ma anche ad altri caratteri come l’agente russo super-ricercato, il 32enne americano che scopre i suoi natali, la sorella della protagonista, è un espediente interessante e soprattutto azzeccato per muovere la storia e incuriosire il lettore.
Questo è senza dubbio un libro dove non ci si annoia, la storia procede spedita – anche grazie all’arco cronologico molto breve che viene coperto. Quando si arriva alla fine è come se avessimo soltanto chiuso un capitolo di una vicenda molto più ampia, e questo è chiaramente un pregio.
Il finale è aperto che più aperto non si può: la missione in sé è finita, ma quando si chiude il romanzo ci si aspetta un seguito, senza se e senza ma. Perché i personaggi devono ancora dare tanto, perché vogliamo sapere come andranno avanti le varie storie (Vinogradov, ad esempio, come metterà in pratica la sua vendetta?). Perché siamo dei romanticoni e ci domandiamo se una relazione tra la spia più o meno senza macchia e senza paura e l’infermiera e informatrice incasinata potrà avere un futuro. Perché la narrativa è bella proprio quando compie questa magia: ci dipinge davanti agli occhi un mondo che vogliamo continui a svilupparsi, e non si chiuda al chiudersi di un libro.