Peccato. È questo il primo, spontaneo commento che un qualunque spettatore nonché fan della serie televisiva “Non uccidere” esprimerà dopo aver finito di vedere l’ultimo episodio della maltratta seconda stagione della serie crime con protagonista Miriam Leone.
Peccato, perché “Non uccidere” avrebbe meritato maggiore visibilità (la seconda metà dei 24 episodi che compongono la stagione due sono stati pubblicati esclusivamente su Rai Play e non si sa se e quando verranno trasmessi in prima serata) e fiducia, vista l’alta qualità del prodotto, fatto strano per la tv italiana, e l’enorme impegno produttivo ed economico messo in campo.
La serie poteva diventare il fiore all’occhiello di Rai Fiction, rappresentando una svolta editoriale rispetto ad altri titoli, seguitissimi ma piuttosto deludenti quanto a recitazione e contenuti. E invece…
“Non uccidere” affascina, angoscia, spiazza, esalta, commuove lo spettatore. Il pubblico si immerge totalmente nelle storie di ordinaria ferocia che vengono raccontate – una vasta gamma di delitti, orrori e tradimenti chiaramente ispirati ai fatti di cronaca nera nostrana ma rimodulati con efficacia per la tv.
Torino, cupa e misteriosa, non è solo una perfetta cornice ma in qualche modo anche una silenziosa co-protagonista.
La serie, a nostro modesto parere, ha segnato più della discussa e controversa performance in “1992” la svolta artistica per Miriam Leone. Il personaggio di Valeria Ferro ha dato la possibilità all’attrice catanese di distanziarsi dal ruolo di ex Miss Italia che per molti anni si è portata dietro, dimostrando di possedere notevoli doti recitative e forte personalità.
E la seconda stagione di “Non uccidere” ha anche offerto la giusta e meritata visibilità al partner di scena della Leone, Matteo Martari (I Medici – Lorenzo il Magnifico), bravo nel formare con lei una coppia artistica di spessore, credibile, supportata da un’evidente alchimia umana prima ancora che recitativa tra i due.
[…] L’impianto strutturale e narrativo di questa seconda stagione, sebbene le puntate siano stata ridotte da 100’ a 5’, è rimasto inalterato: preciso, puntale, curato sia nei dialoghi che nella scelta dei protagonisti di puntata. La colonna sonora e l’eccellente fotografia si confermano due dei punti di forza della serie.
La sensazione, però, è che la riduzione del minutaggio, se da una parte potrà rendere il prodotto interessante per un pubblico più ampio, potrebbe incidere negativamente sul fascino e la forza narrativa della storia. Il tempo dirà se sarà così o meno.
Questo è un passaggio delle mie considerazioni sulla nuova stagione di “Non uccidere”, scritte nel maggio 2017, all’indomani della presentazione in Rai (qui potete trovare il pezzo completo).
Ebbene il tempo e soprattutto la visione di tutti gli episodi mi spingono all’autocritica professionale. Corbucci e il team di sceneggiatori hanno scritto infatti ventiquattro storie forti, coinvolgenti, ricche di colpi di scena e capaci di tenere lo spettatore con il fiato sospeso fino all’ultimo.
Uno dei pregi della serie è quello di aver saputo esaltare non solo il cast fisso ma anche i protagonisti di puntata o guest star, cucendo addosso a ognuno un personaggio complesso, moralmente ambiguo o diversamente malvagio, innalzando ancora di più il livello qualitativo e recitativo complessivo.
Gli interrogatori di Valeria Ferro sono uno dei passaggi-chiave di ogni episodio di “Non uccidere” e per apprezzarne a pieno la forza vi consigliamo l’episodio 15, con la brava e bella Stella Egitto protagonista di puntata. Per chi ha amato “Basic Instinct” di Paul Verhoeven sarà come tornare indietro nel tempo.
Non vogliamo svelarvi altri dettagli né anticiparvi l’imprevedibile finale, ma insieme al sincero invito a recuperare quanto prima questo piccolo gioiello italiano ci auguriamo anche che Mamma Rai decida di realizzare una terza stagione della serie, perché la TV italiana ha davvero bisogno di Valeria Ferro e di “Non uccidere” anche nel 2019.