A me solitamente i libri che parlano di libri, librerie, scrittori e compagnia cantante non piacciono. Li trovo sempre un po’ banali, poco fantasiosi, scritti con il chiaro intento di cavalcare l’onda del successo che, per quanto un lettore medio (vedi me) cerchi di tenersene alla larga, riscuotono sempre i romanzi di questa categoria.
La premessa è necessaria per spiegarvi che non sono proprio il tipo di persona che impazzisce per libri come questo. Eppure “Non ditelo allo scrittore” di Alice Basso a me è piaciuto tantissimo, l’ho letto con grande piacere dalla prima all’ultima pagina e adesso che è finito non vedo l’ora che esca il prossimo romanzo con protagonista Vani Sarca – perché andiamo, un quarto romanzo, cara Alice Basso, adesso devi regalarcelo.
Chi non ha voglia di vedere la ghostwriter torinese che si veste sempre di nero e ha sempre la battuta pronta alle prese con una relazione vera e stabile? Perché se trovare per Vani un degno principe azzurro è stato spassoso, adesso vedere come i due novelli piccioncini affronteranno la vita di coppia promette di esserlo ancora di più.
Come vedete non ho fatto nomi, volutamente, per non fare spoiler sulla trama di questo romanzo – il terzo dopo “L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome” e “Scrivere è un mestiere pericoloso” – di cui adesso torneremo a parlare.
Eravamo partiti dalla constatazione che a me i libri “librosi” non piacciono. Ma quelli di Alice Basso sì, dal primo all’ultimo. E anche stavolta mi sono ritrovata a chiedermi il perché.
Il primo motivo è che le trame intrecciate di questi romanzi non sono scontate, banali o noiose. Il fatto di unire la vita personale di Vani – in questo caso raccontandoci anche il suo passato, i suoi 17 anni tra professori d’inglese super, compagni di classe, dissidi con Sarca madre e quant’altro aggiungendo quindi un ulteriore piano narrativo -, il suo lavoro in casa editrice e la collaborazione con il Commissario Berganza permettono alla Basso di giocare con elementi differenti, dal comico al romance passando per il giallo e il poliziesco.
Non sai mai cosa aspettarti, dalle storie di Vani, perché alla fine si rivelano sempre più storie in una – e succede ovviamente anche stavolta, con il caso del boss agli arresti domiciliari che comunica misteriosamente con l’esterno giustapposto a quello dello scrittore incapace di parlare in pubblico che Vani deve indottrinare per il suo capo Enrico giustapposto all’amicizia di Vani con la piccola Morgana e via dicendo.
Il secondo motivo è lo stile e la scrittura dell’autrice. Non dedicherò a questo punto molto spazio – perché per come la vedo io un romanzo pubblicato, non importa se da editore o in self, dovrebbe come minimo essere scritto in un italiano corretto e scorrevole – ma purtroppo non è sempre detto che in libreria si incontrino prodotti curati, leggibili, godibili. I libri della Basso lo sono – non annoiano, si leggono bene – quindi un punto in più per lei.
Il terzo, e fondamentale, motivo sono i personaggi. Iniziamo dai comprimari, con le loro storie che per quanto non siano il centro del libro hanno comunque un certo spazio, abbastanza da farceli sentire vicini, familiari, i loro caratteri, i pregi e i difetti.
La giovane Morgana, miniatura dark di Vani, che scrive canzoni con Ivano, cospira con l’amica Laura, si prende un po’ cura della protagonista. Irma, la cuoca che abbiamo conosciuto in “Scrivere è un mestiere pericoloso”, che tiene salotto, tra perle di saggezza, proverbi e dimenticanze dovute all’età.
E ancora Enrico, editore disposto a tutto per fare cassa; il Commissario Berganza, impegnato nella sua indagine e nella difficile impresa di dichiararsi; lo scrittore di turno, Marotta, che dopo anni di anonimato si rivela al mondo, ma è incapace di rilasciare una dichiarazione senza inimicarsi il pubblico, l’intervistatore e il mondo intero.
Vani Sarca, poi, è un’eroina sui generis, che per quanto riunisca in sé alcuni elementi che potremmo definire sterotipati o poco plausibili – il fatto, ad esempio, di aver curato in passato un libro su praticamente qualsiasi argomento da tirare fuori all’occorrenza oppure quello di avere l’illuminazione sui casi del commissario – risulta comunque credibile, vera. E soprattutto simpatica.
Vani piace perché non è come le altre, perché si veste di nero e se ne frega di quello che pensa la gente – più o meno. Vani piace perché odia cucinare e fa la spesa quando proprio non può farne a meno – e comunque si alimenta soprattutto di patatine al formaggio e alcol.
Vani piace – o almeno, questo è uno dei motivi per cui è piaciuta a me! – perché nonostante l’insistenza del bellocco di turno, leggi lo scrittore Riccardo Randi, lei tiene il punto, non cede, non torna sui suoi passi come farebbe quasi il 95% delle protagoniste dei romanzi.
Vani rimane se stessa, rimane coerente, con la sua ironia, il distacco dagli altri ma anche la voglia di trovare il suo posto nel mondo. Per questo, anche se i gusti in fatto di abiti, festività e uomini non necessariamente coincidono con i suoi, è facile rivedersi in lei. E volerle un po’ bene.
SCONSIGLIATO. PUNTO DI DOMANDA. Nì. CONSIGLIATO. IMPERDIBILE