Noi, David Nicholls

NoiDouglas e Connie si conoscono alla fine degli anni Ottanta, quando il muro di Berlino era ancora in piedi. Trent’anni e dottore in biochimica, Douglas trascorreva allora i giorni feriali e gran parte del weekend in laboratorio a studiare il moscerino della frutta. Connie, invece, divideva il suo tempo con una “combriccola di artistoidi”, come li chiamavano i genitori di Douglas: aspiranti attori, commediografi e poeti, musicisti e giovani brillanti che rincorrevano carriere improbabili, facevano tardi la sera e si radunavano a volte a casa di Karen, la sorella di Douglas piuttosto promiscua in fatto di amicizie, a bere e discutere animatamente. Ed è durante una festa nell’appartamento di Karen, che Douglas si imbatte per la prima volta in Connie: capelli ben tagliati e lucenti, un viso stupendo, una voce sensuale, distinta ed elegante con i suoi vestiti vintage cuciti su misura, attillati e perfetti. Sono trascorsi più di vent’anni da allora e Douglas e Connie sono sposati da decenni e hanno un figlio, Albie. Douglas ha cinquantaquattro anni e la sensazione di scivolare verso la vecchiaia come la neve che cade dal tetto. Connie è sempre attraente e Douglas la ama cosi tanto che non sa nemmeno come dirglielo, e dà per scontato che concluderanno le loro vite insieme. Una sera, però, a letto, Connie proferisce le parole che Douglas non avrebbe mai voluto sentire: “Il nostro matrimonio è arrivato al capolinea, Douglas. Penso che ti lascerò”.


 

Dai libri di David Nicholls, adesso posso dirlo con certezza, non c’è da aspettarsi il canonico lieto fine. Il bello di queste storie, però, è che nonostante non sempre tutto vada per il verso giusto sono scritte così bene, con uno stile così coinvolgente, fluido, leggero pur affrontando tematiche importanti e delicate, che leggerle è un vero piacere.

“Noi” è il racconto tra presente e passato fatto da Douglas Peterson, scienziato britannico. Tutto inizia quando la moglie Connie, con cui è sposato da quasi 25 anni, una notte lo sveglia dicendogli che vuole lasciarlo. Douglas è sconcertato, vorrebbe recuperare il rapporto. E quale occasione migliore per farlo del Grand Tour estivo che la coppia ha organizzato per far conoscere al figlio quasi 18enne Albert le bellezze artistiche dell’Europa continentale prima che lui parte per il college?

Questa è la cornice in cui si inserisce il lungo monologo del protagonista, che ci porta in viaggio insieme alla sua famiglia tra Amsterdam, Parigi, Venezia, Madrid, nell’estate del presente, e al contempo ci racconta come è iniziato tutto. Come si è formata, questa famiglia, una famiglia che, lo si capisce subito, ha più di qualche problema di comunicazione.

Un libro sull’amore, direte voi? Su come una storia nasce, si consolida, ma talvolta arriva al capolinea? Sì, ma non solo. Nonostante, in quanto neo-sposa, il racconto appassionato e ricco di momenti divertenti ma anche drammatici della vita di coppia di Douglas e Connie mi abbia interessata molto (Perché ci si innamora? Perché si sceglie di tradire? Un sentimento può anche finire?), quello che davvero mi ha fatto riflettere è tutta la parte che riguarda il rapporto padre-figlio.

Perché Noi, per come l’ho interpretato io, è anche un libro che parla di come si diventa genitori, di ciò che significa, di ciò che può andare storto. Ogni coppia, prima di avere dei figli, crede di aver ben chiara in mente almeno una cosa: non si comporterà mai con la prole come hanno fatto i propri genitori. Non commetterà mai certi sbagli. Ogni donna pensa che non sarà intransigente/autoritaria/invadente come è stata la propria madre. Ogni uomo pure. Buoni propositi, dichiarazioni di intenti virtuose. Noi saremo migliori di loro.

Poi il figlio nasce e… non si può sapere come andrà. È un dato di fatto: per quanto ci diciamo convinti di voler essere diversi dai nostri genitori, talvolta finiamo per fare gli stessi errori – o anche di peggio. È così per Douglas, che sogna un figlio interessato alla scienza, un figlio con cui condividere la sua passione. Quando però il bambino si dimostra del tutto differente… cerca di plasmarlo, anche con la forza. Di spingerlo in una certa direzione con ogni mezzo. Per il suo bene. Certo, ma il problema è che ogni individuo deve trovarlo da solo, il suo bene. Così come deve trovare la sua strada. E non importa se fare l’ingegnere/il fisico/lo scienziato offra migliori prospettive lavorative di fare l’artista. Non si possono imporre certe scelte.

Douglas alla fine se ne rende conto… ma quanti errori, quanti giri a vuoto, quanti episodi dolorosi devono verificarsi prima. Così, se ero partita provando per questo marito e padre incompreso un po’ di compassione (poveretto, all’inizio lui sembra così buono, innamorato, disponibile e la moglie e il figlio sempre coalizzati contro di lui) nel corso del libro non si possono non comprendere anche i motivi di Connie e Albie. Non è semplice crescere con qualcuno che vuole indirizzare le tue scelte, che crede che il talento artistico non sia alla pari di una bella laurea in Fisica, che ti incolla i Lego con l’Attack perché “Vedi che bello? Adesso hai dei giochi che dureranno per sempre!” (questo è uno degli episodi che mi hanno lasciata più basita) quando in realtà a te piace smontare le cose – come a tutti i bambini, d’altra parte.

Tirando le fila Noi non è solo una storia d’amore. A me personalmente ha ricordato come, nonostante si parta con le migliori intenzioni, essere genitori sia soprattutto una sfida. Una sfida dove occorre tenere presente, giorno dopo giorno, come ha scritto magistralmente Kahlil Gibran che che “i nostri figli non sono figli nostri, sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita. Nascono per mezzo di noi, ma non da noi. Dimorano con noi, tuttavia non ci appartengono”. Per questo bisogna capire quando è il momento di lasciarli andare.