Un film di Bruno Bigoni. Documentario, 52’. Italia, 2017
Harry Shindler non c’entra niente con l’Oskar Schindler del film di Spielberg. Ma anche lui cerca di salvare vittime della Seconda guerra mondiale, di salvarne la memoria: sbarcato ad Anzio nel 1944, è un inglese che vive in Italia, dove tenta di ricostruire l’identità dei tanti soldati alleati senza nome, sepolti nei nostri cimiteri o dispersi. Un film che ricuce gli strappi della memoria, attraverso i luoghi percorsi dal veterano, le sue parole, quelle del giornalista Marco Patucchi e le immagini di repertorio.
Cari lettori, quella che state leggendo non è una recensione né un lettera aperta al direttore artistico del Torino Film Festival, e neanche il garbato e ironico gioco delle parti tra me e il caporedattore Roberta Turillazzi.
No, questa volta il vostro inviato sente il bisogno di condividere le emozioni forti che ha provato e sta continuando a provare dopo aver visto il documentario “My war is not over” di Bruno Bigoni. Tanto forti che vorrei urlarvi, pregarvi, di correre subito a Torino, per avere l’onore di conoscere e stringere la mano a Harry Shindler – e naturalmente, se questo non fosse possibile, almeno di andare a vedere il film, quando arriverà in sala.
Chi è Harry? È un arzillo giovanotto inglese di 95 anni che nel gennaio del 1944, insieme ad altri migliaia di commilitoni, sbarcò sulla spiaggia di Anzio per liberare Roma dall’occupazione nazista.
Nota a margine: Roma fu liberata dagli Alleati a maggio del ’44. Per cinque mesi Harry e gli altri soldati inglesi furono vissero dentro una buca sulla spiaggia del Lazio, avendo come compagna la consapevolezza di poter morire in ogni momento per mano dei bombardieri tedeschi.
Harry Shindler, a differenza di tanti altri, è sopravvissuto. Ha sposato un’italiana, formato un famiglia, e vive ancora a San Benedetto del Tronto. Ma se pensate che stia passando gli ultimi anni da sereno pensionati vi sbagliate di molto.
Harry infatti non ha smesso di combattere. Non più contro i Nazisti, ma contro l’oblio, altrettanto infido e pericoloso. L’uomo ha infatti votato la parte finale della sua vita a dare un nome ai tanti soldati inglesi caduti e sepolti in Italia durante il conflitto, soldati di cui i famigliari non hanno avuto più notizie.
Il soldato Harry combatte ogni giorno la sua guerra, contro la burocrazia, il tempo e l’indifferenza sociale. Grazie a tenacia, meticolosa indagine e volontà, è riuscito ad esempio a dare un nome e un volto al milite ignoto inglese trucidato insieme ad altri prigionieri italiani (tra cui Bruno Buozzi) alla Storta, a nord di Roma, lungo la via Cassia. Si chiamava Gabor Adler – alias John Armstrong – e grazie a Herry dal giugno 2009 ha una lapide e una dignità nella morte.
Ma la storia di Harry si intreccia ad esempio anche con quella di Roger Waters, bassista dei Pink Flyod, che grazie a lui ha finalmente potuto sapere dove fosse morto il padre, Eric Fletcher Waters, sottotenente in servizio a Cassino durante il conflitto.
Ogni giorno Harry riceve decine di lettere e telefonate da parenti di militari inglesi scomparsi durante la guerra. Tutti formulano la stessa richiesta d’aiuto. E Harry, insieme agli amici, tra cui Marco Patucchi, giornalista di Repubblica, si mette in movimento per tutti.
Come ricorda Harry Shindler “la mia generazione ha vissuto l’orrore della guerra, rinunciando alla giovinezza per garantire pace e democrazia all’Europa e alle future generazioni”. Ma, attenzione, “non basta dire mai più. Perché lo dissero i politici dopo la fine del primo conflitto mondiale e dopo neanche vent’anni se ne scatenò uno peggiore. Bisogna tenere alto il ricordo per evitare il ripetersi di tragico errori. Solamente così il sacrificio di tanti ragazzi non sarà risultato vano”.
Vi servono altri motivi per vedere questo film e conoscere un vero eroe dei nostri giorni?