Una delle mie – tante – passioni letterarie sono i romanzi sul mondo della moda. E pensandoci bene, un buon 98% di quelli che ho letto è ambientato in Francia, a Parigi. Non fa eccezione “Merci, Monsieur Dior“ della tedesca Agnès Gabriel, edito in Italia da Giunti.
1946. In fuga da un matrimonio finito prima ancora di cominciare, e dalle tragedie del passato e del presente, la giovane Célestine lascia la Normandia per cercare fortuna a Parigi. Qui viene accolta dall’amica Marie, che lavora come cameriera e la guida attraverso la città che sta risorgendo dagli orrori della guerra.
Un giorno Célestine si imbatte in un annuncio per un posto da segretaria: non immagina certo che di lì a poco si ritroverà nel sontuoso palazzo dello stilista Christian Dior, in crisi per la presentazione della sua prima collezione. La naturale grazia di Célestine incanta Dior, dandogli l’ispirazione per la nuova linea. In poco tempo la ragazza diventa molto più di una collaboratrice, mettendo a frutto i suoi talenti come archivista prima e dopo anche come scrittrice.
In origine avevo pensato di iniziare da tutt’altro, ma leggendo la sinossi originale (che NON è quella che trovate qui sopra) non ce l’ho fatta. Perché ecco, voglio dirvelo: a me le sinossi scorrette fanno andare fuori di testa. Mi danno l’impressione che o chi di dovere non si sia nemmeno preso la briga di leggere il libro o che abbia tradotto meccanicamente, prendendo lucciole per lanterne, o che abbia voluto modificare certi dettagli per attirare il lettore, e non importa se poi nel libro che andrà a leggere troverà tutt’altro. Scegliete voi quale delle tre opzioni sia la meno peggio.
Mettendo da parte le polemiche e tornando al romanzo, che è quello che ci interessa, “Merci, Monsieur Dior” mi ha convinta soltanto a tratti. Il ritmo, a mio parere, è davvero troppo lento, compassato, a tratti persino noioso.
Si ha l’impressione che la vita della protagonista passi tra la preparazione di una cena e di un pranzo per il suo “padrone” (scelta lessicale secondo me poco felice) e un caffè con l’amica Marie, e poi di nuovo, e ancora, e ancora. Al racconto manca brio e brillantezza, e dire che la storia di per sé è molto intrigante e ha grande potenziale.
Célestine, però, non è un gran protagonista. Nella prima parte del romanzo è troppo ingenua, troppo naïf; poi, dopo la seconda delusione sentimentale, sembra riprendersi, accettando la sua condizione e apprezzando la libertà e l’indipendenza guadagnate. Eppure c’è in lei qualcosa di forzato. Neppure quando è una “donna in carriera che basta a se stessa” si ha la sensazione che si senta a suo agio in questo ruolo – eppure, in teoria, sarebbe Marie quella che vuole sposarsi a ogni costo, per sistemarsi e avere qualcuno che pensi a lei.
Il ritratto che dello stilista e dell’uomo Christian Dior emerge dalle pagine, invece, anche se è filtrato dal punto di vista di Célestine e quindi “di seconda mano”, mi è piaciuto. L’ho trovato coerente con quello che si sa del personaggio, garbato, interessante. Le descrizioni della casa di moda, della preparazione di una collezione, dell’attività normale e straordinaria dietro ogni modello, poi, sono le parti più centrate.
Il romanzo di Agnès Gabriel, insomma, non sarà memorabile ma è comunque una lettura tutto sommato piacevole. E come si conviene a questo genere di storia, trasporta indietro nel tempo, nella capitale della moda europea, la sfavillante Parigi, ritratta nel momento della ripresa dopo la guerra. L’aria parigina, quella sì, si riesce a respirare a ogni frase.